Attualità

Dopo Mediobanca, la nuova geografia bancaria. Siena avanza, Milano arretra: Giorgetti muove i fili

di Ivano Tolettini -

ALBERTO NAGEL CEO MEDIOBANCA FRANCESCO SAVERIO VINCI MANAGER MEDIOBANCA


È stato un tonfo secco, che sta cambiando i rapporti di forza nella finanza italiana. L’assemblea di Mediobanca che ha bocciato l’Ops su Banca Generali, ferma repentinamente il progetto di Alberto Nagel, alla guida dell’istituto da diciotto anni, finito contro il muro degli azionisti. Non era soltanto un’operazione industriale, ma un atto politico: rafforzare il risparmio gestito per blindare il salotto buono. Quel salotto, però, non è più intoccabile, dopo che Caltagirone e i Del Vecchio, assieme alle casse previdenziali private, hanno alzato il muro. E ora Mediobanca è costretta a difendersi dall’avanzata di Siena, con Monte dei Paschi che torna a muoversi da protagonista.
È il grande paradosso: la banca simbolo delle fragilità di un decennio, salvata più volte dallo Stato, adesso sotto la spinta di Luigi Lovaglio diventa l’incursore capace di mettere in discussione l’assetto storico di Piazzetta Cuccia. A trainarla è la mano discreta del Tesoro, che resta azionista di peso, e la regia discreta di Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia non dice una parola, ma in questo silenzio costruisce la sua strategia. Da bocconiano, sa che non serve alzare la voce quando si ha la regia dei dossier, e sa che ogni mossa deve apparire come una conseguenza naturale, non come un’imposizione.
L’ad Nagel, per la prima volta, è costretto sulla difensiva.
La sua Mediobanca non è più il crocevia obbligato della finanza italiana, ma un giocatore tra gli altri. Siena avanza, Unicredit osserva, Intesa Sanpaolo resta il perno immobile del sistema. La differenza è tutta qui: mentre i poli maggiori agiscono con la forza della dimensione, Mediobanca si muove come una fortezza assediata, con mura che mostrano crepe sempre più visibili. Il fallimento dell’Ops su Banca Generali toglie a Nagel lo scudo con cui voleva proteggersi. Intesa, con Carlo Messina, domina già la scena: 4.000 miliardi di attivi, il baricentro del credito italiano, la capacità di influenzare mercati e politica senza neppure alzare i toni. Intesa non ha bisogno di muoversi in prima linea: la sua solidità basta a condizionare chiunque. Unicredit, guidata da Andrea Orcel, si gioca invece un’altra partita: quella europea, ad esempio in Germania. Espansione, acquisizioni mirate, un respiro internazionale che la rende meno dipendente dagli equilibri di Roma e Milano. Ma è chiaro che il suo peso resta determinante. Se sceglierà di intervenire sul risiko interno, nessuno potrà fermarla.
In mezzo, Mediobanca e Mps diventano il terreno di scontro. Siena è tornata centrale perché il governo vuole che resti così e Lovaglio è l’attaccante: una leva pubblica per garantire stabilità. Mediobanca resta un nodo strategico, ma ora vulnerabile. È qui che si gioca la vera partita di Giorgetti: usare il controllo statale come contrappeso ai fondi internazionali, guidare dall’ombra il riassetto senza scatenare terremoti.
Perché quello che cambia davvero, dopo il voto contrario, è la percezione del potere. La finanza italiana non è più un club autoreferenziale. Gli assetti bancari si incrociano con la politica industriale e con la strategia di governo. Le mosse di Siena non sono soltanto quelle di un istituto in cerca di spazio: sono il riflesso di un disegno che vede nell’azione del pubblico, grazie anche al risparmio di Poste Italiane, un fattore di forza, capace di orientare non solo le banche ma anche il destino di interi settori economici. Nagel difende la sua Mediobanca, ma non detta più i tempi. A dettarli sono Messina da un lato, Orcel dall’altro, Lovaglio e Giorgetti sullo sfondo. Quattro uomini diversi, con visioni complementari. Il primo è il custode del primato nazionale, il secondo l’apripista internazionale, il terzo e il quarto l’incursore finanziario e l’architetto politico che sa aspettare e colpire al momento giusto. La mappa della finanza italiana cambia così: Intesa come polo dominante, Unicredit come sfidante europeo, Mediobanca come roccaforte in difficoltà, MPS come pedina tornata decisiva. Ma dietro ognuno di questi attori si muove il governo. Perché in questo risiko bancario e finanziario, la vera partita non è scritta nelle assemblee societarie, ma nelle stanze dove politica e finanza tornano a parlarsi. E il silenzio di Giorgetti, ancora una volta, pesa più delle azioni e di mille dichiarazioni.


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