AI AI AI! No redattore? Ahi ahi ahi!
È successo a La Provincia, ma poteva capitare ovunque: un articolo “rielaborato” da ChatGPT finisce stampato così com’è, con tanto di frase da chatbot.
C’è chi dice che l’intelligenza artificiale ruberà il lavoro ai giornalisti. Poi però esce un articolo con la frase: «Vuoi che te lo trasformi in un articolo?» e si scopre che no, il problema non è l’IA troppo furba — ma l’umano troppo pigro.
È successo a La Provincia, quotidiano di Civitavecchia, dove un pezzo di cronaca si è chiuso con una domanda che nessun cronista avrebbe mai scritto, ma che qualsiasi utente di ChatGPT riconosce al volo. La classica frase che il chatbot propone dopo aver aiutato a buttare giù una bozza. E infatti: copiata, incollata, stampata. In prima pagina.
Ora, va bene la fretta di chiudere l’edizione e la tirannia del “pezzo che deve entrare a tutti i costi”, ma questa è una specie di autogol giornalistico in diretta. Il tutto, peraltro, in un’Italia dove si discute da mesi di quanto la stampa debba “capire l’IA”. Ecco, forse cominciamo col capirla almeno fino al tasto “copia”.
Non è la prima volta che l’algoritmo s’infila in redazione
Non siamo soli nel club delle gaffe digitali. Nel 2025 il Chicago Sun-Times ha pubblicato una lista di libri estivi scritti… da nessuno. O meglio: da autori veri con titoli inventati da un’intelligenza artificiale. Hanno consigliato romanzi che non esistevano. Fantasia editoriale allo stato puro, peccato non voluta.
Poi c’è The Irish Times, che ha dato spazio a un “guest writer” misterioso. Solo dopo la pubblicazione si è scoperto che l’autore era in gran parte una macchina con un nome falso. Il giornale ha dovuto scusarsi con un tono che suonava più o meno così: “Non lo faremo più, giuriamo, anche se scriveva benissimo”.
E per non farci mancare nulla, Il Foglio ha pubblicato un numero interamente generato da IA. L’esperimento era dichiarato e provocatorio, ma il rischio è sempre quello: quando la penna la tiene il software,l’errore non è più di battitura, è di concetto.
Il problema non è la macchina: è chi non la guarda
Perché la verità è questa: l’intelligenza artificiale non sbaglia da sola, sbaglia quando nessuno controlla. Le redazioni corrono, i turni stringono, i pezzi devono chiudere. E allora l’IA diventa la scorciatoia perfetta: scrive, riassume, taglia. Ma se poi nessuno rilegge, può succedere che una frase di servizio finisca tra le notizie di cronaca nera.
Il paradosso è che l’errore umano oggi si firma con la calligrafia della macchina. Un tempo si correggevano le refusi, ora bisogna correggere i prompt. Il rischio non è solo fare brutta figura: è perdere quella cosa che nessun algoritmo potrà mai generare — il senso del limite, dell’ironia, del mestiere.
Insomma, il giornalismo non deve avere paura dell’IA. Deve solo ricordarsi che, prima di stampare, un’occhiata al testo serve sempre. Perché, come diceva un vecchio caporedattore, “l’unico errore imperdonabile è quello che si poteva evitare”.
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