L'identità: Storie, volti e voci al femminile Poltrone Rosse



Attualità

Lilli, sacerdotessa dello sdegno

di Giuseppe Tiani -


Ogni sera officia dal suo altare di vetro. Il tono è fermo, la parola tagliente, lo sguardo di chi non domanda: giudica. La forma è impeccabile, la voce controllata, l’eloquio sorvegliato. Aplomb borghese allo stato puro.

Trasforma l’opinione in dogma, l’ironia in disprezzo. La fase matura del suo giornalismo ha qualcosa di antico e insieme decadente, la teatralità dell’indignazione, la fede incrollabile nel proprio programma, che non ammette dubbi ma solo avversari. Nel celebrare il suo rito laico che ritiene élite della libera informazione, distribuisce il sacramento del suo credo, radicato in quei valori in cui, un tempo, molti della mia generazione credettero. Ma le radici, se nutrite per anni con acqua inquinata, avvizziscono. E con esse si deforma la memoria collettiva.

Lilli lo fa con l’eleganza dei vincitori morali, con lo sguardo di chi non si sporca le mani con la realtà, come certi politici smarriti, che cercano l’approdo senza più avere la rotta. Davanti a lei scorrono ministri, intellettuali, filosofi e giornalisti, alcuni colpevoli soltanto d’aver pensato fuori dal recinto, d’aver osato oltre le esauste icone del conformismo ideologico e mediatico.

Ogni domanda è una sentenza, ogni replica un peccato. Quel salotto che poteva essere specchio dello spirito progressista è divenuto pulpito del risentimento, un luogo in cui il confronto si osserva attraverso la lente della purificazione. Accantonato da tempo il valore del linguaggio e dei contenuti, si diffida dell’autenticità di ogni pensiero diverso che, invece, andrebbe esercitato dentro lo stesso campo. E così si continuano a generare avatar, riflessi di una luce artificiale che non genera vita, visioni che non interpretano la realtà ma la sua caricatura.

La borghesia dei media non comanda, commenta. Ma il commento, quando è sempre giusto o indignato, finisce per diventare sterile. Nel buio della realtà restano voci senza microfono, quelle autentiche, la cui rappresentanza è stata snaturata e distorta. Eppure, le lucciole di Pasolini esistono ancora, non in quel salotto, ma nella vita quotidiana e anonima dei cittadini. Con i loro piccoli bagliori ricordano che quando la politica e il giornalismo sono accecati da pregiudizi e riflettori, non riescono più a vedere la realtà.


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