Il mistero del giudice Adinolfi riemerge. Roma scava sotto
Trentun anni dopo, Roma torna a scavare sotto la propria pelle. E sotto la Casa del Jazz, simbolo di riscatto civile edificato sulle ceneri di un bene confiscato alla Banda della Magliana, si riapre uno dei misteri più cupi della Capitale: la scomparsa del magistrato Paolo Adinolfi, dissolto nel nulla il 2 luglio 1994. Unico caso nella storia della Repubblica.
Da una ipotesi investigativa
All’alba di ieri, cani molecolari, tecnici della Sovrintendenza, uomini della Guardia di Finanza e della polizia hanno iniziato a penetrare nelle gallerie sotterranee del complesso. Un dedalo di cunicoli romani, alcuni noti, altri rimasti inesplorati per decenni. È qui che, secondo un’ipotesi investigativa riemersa all’improvviso, potrebbe trovarsi il corpo del giudice. O almeno una traccia, un indizio, un frammento di verità.
L’ex collega
A guidare l’operazione è una decisione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, riunito in Prefettura dopo la richiesta dell’ex giudice Guglielmo Muntoni, che trent’anni fa partecipò alle indagini. “Questa attività non riguarda soltanto Adinolfi – ha chiarito -. Si tratta di capire che cosa sia stato nascosto in quella galleria che trovammo interrata. L’idea è che qualcuno abbia voluto nascondere qualcosa, forse con la possibilità di recuperarla tramite una botola d’accesso”. Parole pesanti, che gettano luce su un’altra domanda: perché adesso? Quale nuovo segnale, testimonianza o dettaglio investigativo ha convinto le autorità a intervenire? Nessuno, per ora, risponde. Il figlio del magistrato, l’avvocato Lorenzo Adinolfi, è arrivato sul posto poco dopo l’inizio degli scavi. Ha osservato i lavori in silenzio, strettamente protetto dal riserbo di sempre. “Abbiamo appreso la notizia dai siti – ha detto -. Ora occorre soltanto aspettare”. È l’atteggiamento di una famiglia che da più di tre decenni vive sospesa fra la speranza e il timore di conoscere finalmente la verità.
La vittima
Paolo Adinolfi era giudice della Corte d’Appello da appena venti giorni. Prima aveva lavorato nella Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma: un ufficio delicato, spesso incrociato con storie di denaro, imprese e zone grigie della criminalità economica. Il 2 luglio 1994 aveva lasciato casa in via della Farnesina dicendo che sarebbe rientrato per pranzo. Non tornò mai più. L’indomani, alle 15.45 del 3 luglio, l’Ansa lanciò la prima notizia della scomparsa: “Dalle 11 di ieri mattina si sono perse le tracce del giudice Paolo Adinolfi”. La Bmw del magistrato venne trovata nei pressi del Villaggio Olimpico. In quelle ore si parlò di nessun problema familiare, nessun motivo d’ansia professionale. Solo indiscrezioni confuse, come un presunto incontro con un amico, forse un avvocato, o due mazzi di chiavi lasciati nella cassetta della posta della madre ai Parioli. Altri dettagli non vennero mai confermati. Nei giorni successivi, il centralino del 113 fu sommerso da false segnalazioni. “Una decina al giorno”, raccontavano dalla Squadra mobile l’8 luglio. Nessuna portò a un passo avanti. Il 12 luglio, la competenza passò alla Procura di Perugia, come previsto per i casi che coinvolgono magistrati romani. Di lì in avanti, solo archiviazioni. Un mistero che ha resistito a trentun anni di inchieste, piste incomplete, silenzi pesanti.
E il mistero Orlandi
Adesso, in una Roma che ha imparato a convivere con i propri misteri, si pensi solo alla sparizione di Emanuela Orlandi il 22 giugno 1983, la Casa del Jazz torna a essere teatro di un’indagine che scava nel passato e nel sottosuolo della città. “Tempo fa parlai con un ex magistrato che stava facendo delle ricerche e che mi disse che proprio lì poteva nascondersi il corpo di mia sorella. Lui ne era abbastanza convinto”. A parlare è Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela. “Appena ho letto la notizia degli scavi – ha aggiunto – ho ripensato subito a quanto mi è stato detto”. Operai con pale e caschi, carabinieri e finanzieri controllano ogni centimetro dell’area indicata dagli investigatori. Le gallerie sotterranee, testimonianze archeologiche ma anche potenziali luoghi d’occultamento, vengono mappate e aperte, metro dopo metro. È un lavoro lento. Tecnico. Ossessivo.
Dal 1994 resta una sola domanda
Ma è anche un ritorno a una domanda rimasta sospesa dal 1994: che fine ha fatto Paolo Adinolfi? E soprattutto: chi aveva interesse a farlo sparire? Insomma, quale fu il movente di quello che si è sempre palesato come un omicidio? Sotto il terreno della Casa del Jazz, che un tempo fu proprietà di Enrico Nicoletti, ritenuto il “cassiere” della Banda della Magliana, si incrociano storia, malavita, istituzioni e antichi cunicoli romani. È il luogo perfetto per custodire un segreto. Forse troppo perfetto. Mentre gli uomini lavorano e i cani molecolari scrutano il buio, la famiglia Adinolfi aspetta, così come gli Orlandi. Intanto, la città osserva. E la giustizia, quella che non si prescrive, prova ancora una volta a riscattare uno dei suoi fantasmi più cupi. Ma per la prima volta dopo molti anni, c’è un varco nel terreno. E ogni varco è una possibilità di verità.
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