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Attualità

L’impresa come motore del Mezzogiorno: la sfida lucana

di Vincenzo Viti -


La sfida lucana nel Mezzogiorno

Difficile che su Il Foglio, il quotidiano di culto su cui esercitano il loro genio liberale e libertino (una risorsa aurea) Giuliano Ferrara e Claudio Cerasa, riservassero un editoriale al manifesto confindustriale di Basilicata. Una Regione interna eppure strategica che cumula antiche derive e speranze cruciali in un Mezzogiorno, che pur procede nella pigrizia del ciclo economico nazionale. In Basilicata, lo dice il Presidente lucano Francesco Somma, erede dinastico di importanti presidi industriali, si gioca una partita delicata e risolutiva su tutti i fronti della competizione. Che lui immagina trainata da tre vettori (innovazione, competitività e competenze), tre titoli assolutamente decisivi. Il tema che circola nella intera riflessione è antico e insieme contemporaneo. Evoca una filosofia che ha storicamente connotato il sottosviluppo meridionale. L’assistenzialismo surrogato della assistenza, cioè l’eterna dipendenza che pratica una passiva pace sociale, in luogo di scommettere sugli spiriti e sui motori dello sviluppo.

Il ruolo dell’impresa e il richiamo a Saraceno

Circola nel discorso di Somma il “refrain” di Saraceno, uno dei grandi maestri del pensiero dello Svimez, centrato sulla “potenza effettuale” dell’industria nei processi di accumulazione e sulla funzione propulsiva che esercita l’impresa nella dinamica socioeconomica. Sicché, lavoro e impresa sono chiamati a svolgere e sviluppare le dialettiche proprie dello sviluppo. La cui leva moltiplicativa ed espansiva è l’innovazione, con il supporto delle competenze. Cioè processo e combustione, sopratutto investimento sul fattore umano che pretende il pieno impiego di tutti gli istituti e le attività formative disponibili, università compresa. Somma non chiede soccorso, chiede cooperazione istituzionale politica e sociale. Dialoga e coinvolge una Regione che sembra corrispondere.

ZES, politiche territoriali e questione demografica

Ma sa bene che occorre perfezionare tutti gli strumenti e gli incentivi a partire da una Zes che non può essere matrigna ma disporsi a servizio di territori cui destinare le risorse in relazione a effettive vocazioni territoriali e ambientali. Evitando ulteriori effetti agglomerativi su aree già forti e consolidate. Demografia, fuga dei cervelli, denatalità, abbandono delle aree interne non sono un destino ineluttabile ma effetto di politiche generali da piegare ad una “torsione sociale e territoriale” verso un Sud che funziona così da produrre effetti cumulativi sullo sviluppo dell’intero sistema.

Una rivoluzione interna e la sfida dell’autonomia differenziata

Ecco un piccolo saggio di come una Regione interna fra due distretti metropolitani si attrezza a dar conto di una rivoluzione interna piuttosto che attendere con il capelli in mano le grazie della Intendenza. Si tratterà di vedere se la cosiddetta “autonomia differenziata” sarà piegata alla prevalenza dell’interesse generale. Da far valere su interessi ed egoismi. I lavori sono in corso. Anche in un laboratorio piccolo ma prezioso qual è la Basilicata.

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