Economia

Da Santiago il lungo cammino del Patto di stabilità

di Giovanni Vasso -

GIANCARLO GIORGETTI MINISTRO


È cominciata la madre di tutte le battaglie: quella del patto di stabilità. L’Ecofin si è riunito ieri, in maniera informale, a Santiago de Compostela. Scelta ironica: sarà lungo, tortuoso e accidentato il cammino verso il nuovo Patto, per i pellegrini mandati dai rispettivi governi nazionali a discutere la nuova regolamentazione in materia di bilanci e finanza pubblica europea. Di tempo, però, non ce n’è. Perché chi comanda e decide, davvero, il destino dell’Ue ha parlato chiaro. Christine Lagarde, a latere del ferale annunzio legato all’ennesimo aumento dei tassi di interesse che rischia di accompagnare l’economia dell’Eurozona alle sue stesse esequie, ha tuonato: “Le trattative per la revisione del Patto di stabilità andrebbero concluse entro l’anno”. Ma i politici Ue possono stare tranquilli: ci sono (almeno) tre mesi da spendere ancora in bizantinismi ed estenuanti trattative.

Già, perché ogni Paese ha la sua ricetta. Al punto che una via comune, per il momento, non c’è. Lo ha dichiarato il ministro all’Economia spagnolo, Nadia Calvino, secondo cui “non c’è un testo sul tavolo da negoziare”. In fondo, ha spiegato, è pur sempre “un Ecofin informale”. Cioè il primo incontro in cui i ministri dei Paesi membri si “annuseranno” per capire l’aria che tira. Un bizantinismo, l’ennesimo. Ma non si parte da zero: “Farò una presentazione del grande lavoro tecnico che si è sviluppato per tutta l’estate. Gli staff hanno fatto progressi significativi, chiudendo alcune parti del testo”. Calvino è entusiasta perché “quello che faremo è preparare un calendario ambizioso, con l’obiettivo chiaro di avere un accordo prima di fine anno”. E pensare che speravamo, entrando in Europa, di dire ciao-ciao, per sempre, al cerimoniale elefantiaco che per lunghi e democristiani decenni ha caratterizzato la politica italiana.

A proposito dell’Italia, per Roma la battaglia è decisiva. Il debito pubblico del nostro Paese ha raggiunto l’ennesimo record: 2.858 miliardi da scucire, secondo i dati della Banca d’Italia. Il mal di pancia del ministro Giorgetti rischia di trasformarsi in un’ulcera perforante se l’Italia non riuscirà a ottenere lo scorporo, dai bilanci, delle spese militari sostenute per aiutare Kiev e gli investimenti del Pnrr. Palazzo Chigi, in questi giorni, ha incassato un uno-due impressionante. Prima i dati che rallentano la crescita del Pil, poi l’ennesimo aumento dei tassi che pesa tanto sul debito quanto sul finanziamento da ricercare sui mercati. L’ultima speranza di Giorgetti, come il giudice del proverbio, sta a Berlino. Se Christian Lindner darà l’ok, e potrebbe darlo dal momento che la Germania è letteralmente in ginocchio e rischia un tracollo economico mai visto prima, l’Italia potrebbe ottenere dei margini di manovra aggiuntivi che consentirebbero al governo, quantomeno, di mantenere alcune delle promesse elettorali più pressanti. Altrimenti sarà durissima. Il governo italiano, inoltre, dovrà relazionare ai partner Ue sulla delicatissima vicenda Mes. E non è per niente escluso che l’adesione italiana al Mes possa rappresentare una chiave decisiva per ottenere regole meno stringenti e spazi più ampi.

Un assist pare arrivare dal ministro francese all’Economia, Bruno Lemaire, che di rigore non ne vuol sentire parlare neanche per scherzo: “Abbiamo bisogno di una crescita più robusta, il che significa che le regole di bilancio non devono impedire agli Stati membri di investire nell’innovazione, nelle nuove tecnologie e nella lotta al cambiamento climatico”.


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