Esteri

In Thailandia vince l’opposizione Svolta filo-Usa

di Ernesto Ferrante -


In Thailandia il vento del cambiamento ha travolto i militari. L’opposizione ha vinto largamente le elezioni legislative. I progressisti del Move Forward Party hanno staccato tutti, conquistando 151 seggi su 500 alla Camera. Alle loro spalle si sono piazzati i popolari del Pheu Thai, con 141 seggi. Male invece le forze conservatrici: 71 seggi per il Bhumjaithai, 40 per il Palang Pracharath e 36 per il nuovo movimento del premier uscente Prayuth Chan-o-cha. L’Mfp ha rivendicato il successo, che ha assunto proporzioni sorprendenti anche agli occhi di chi, nel corso delle settimane, ne aveva potuto registrare l’avanzata soprattutto tra le fasce più giovani. Gli esponenti della seconda forza in termini di voti, molto radicata nelle campagne del nord, hanno già fatto sapere di essere disposti a entrare in un governo di coalizione. Una mossa dettata dalla strategia ma anche dalla paura che gli sconfitti possano cavalcare la paura dell’ingovernabilità per ritornare al timone di un Paese dilaniato dalla corruzione e dalle disuguaglianze. Il leader di Move Forward, Pita Limjaroenrat, rivelatosi molto abile a sfruttare lo strumento dei social media, ha commentato con parole cariche di entusiasmo e speranza il verdetto delle urne: “Penso che il sentimento nell’aria sia cambiato. Ed è giusto, è il momento giusto: la gente ne ha passate abbastanza nell’ultimo decennio e oggi è un nuovo giorno e speriamo che sia pieno di sole e di speranza per il futuro”.
Altissima la partecipazione popolare: più del 75% dei 52 milioni di aventi diritto a votare. Bocciatura senza appello per l’ex primo ministro Prayut Chan-O-Cha che ha guidato il Paese dal golpe del 2014, accusato di non essere capace di varare misure in grado di arginare la crisi economica e di reprimere la libertà di espressione. Sulla strada che conduce all’esercizio effettivo del potere, le ex minoranze dovranno essere abili a superare l’ostacolo rappresentato dalla costituzione del 2017, redatta dalla giunta militare, secondo cui per formare un governo, che verrà eletto dalle Camere riunite, serviranno 376 voti. Il Senato di 250 membri è però interamente nominato dall’esercito.
“Non sono preoccupato, ma non sono imprudente – ha sottolineato il giovane dirigente d’azienda figlio di Pongsak Limjaroenrat, ex consulente del Ministero dell’Agricoltura e delle Cooperative – con il consenso che è emerso dalle elezioni, ci sarà un prezzo piuttosto alto da pagare per chi pensa di abolire i risultati o di formare un governo di minoranza. Probabilmente è un’ipotesi molto remota. E credo che il popolo thailandese non lo permetterà”.
Si prevedono settimane di negoziati e trattative, pubbliche e private, per trovare una quadra per niente scontata.
Pita ha fatto sapere di aver chiamato Paetongtarn Shinawatra e di essersi congratulato con lei per la grande determinazione mostrata, invitandola a dar vita al nuovo esecutivo. La Shinawatra, che i sondaggi davano addirittura al 50%, ha annunciato di aver accettato la proposta di Limjaroenrat. Contattati anche il Thai Sang Thai, il Prachachart e il Seri Ruam Thai. In queste sta prendendo forma un’alleanza a “5+1”.
A risentire dei nuovi “assetti” sarà sicuramente la politica estera. Le formazioni attualmente maggioritarie sono dichiaratamente pro Usa ed anti-cinesi. Un fattore questo che rischia di innescare un nuovo “braccio di ferro” tra Pechino e Washington. Le campagne contro il direttore del dipartimento delle pubbliche relazioni thailandese, il generale Sansern Kaewkamnerd, sono state guidate da centri e fondazioni con legami e sponsor oltreoceano. Il generale è stato accusato di voler adottare un modello di censura simile a quello cinese.
E’ all’orizzonte una revoca degli accordi sugli armamenti, dei progetti infrastrutturali e della cooperazione nel campo commerciale e della ricerca scientifica, con una marcata inversione della rotta verso l’Occidente.

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