Inappellabilità delle sentenze di assoluzione, avvisaglie di scontro
I meccanismi che regolano il sistema penale italiano, con il ritorno sotto i riflettori mediatici e giudiziari del delitto di Garlasco, sono riaffiorati nel dibattito pubblico, in particolare l’ipotesi di inappellabilità dei proscioglimenti da parte dei pm. Sebbene al momento a interrogarsi su alcuni punti controversi afferenti al nostro modello processuale siano per lo più giuristi e avvocati, c’è da scommettere che presto la discussione animerà anche il dibattito politico. In realtà, senza scendere nel tecnico, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, con riferimento al caso di Alberto Stasi, si è già espresso bollando come “irragionevole” la sua condanna dopo due assoluzioni. Al momento però, a replicare al ministro sono stati esclusivamente i magistrati, a partire dall’Anm. In attesa che anche i partiti prendano posizione – qualche singolo esponente sia della maggioranza che dell’opposizione lo ha già fatto pubblicamente, la maggior parte preferisce dire la propria lontano dai riflettori – nei giornali e nei salotti dei talk show risuona forte come forse mai prima l’eco di due principi cardine e tra loro interconnessi del sistema penale: la presunzione di innocenza e la necessità che una condanna possa essere comminata solo oltre ogni ragionevole dubbio. In un sistema garantista – e, piaccia o meno, il nostro lo è – funziona così, o almeno dovrebbe. La consecutio logica sarebbe, come avviene in altri ordinamenti, l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione, della quale si è già parlato in passato, ma che è rimasta lettera morta perché a proporla erano Silvio Berlusconi e Forza Italia, considerati il male assoluto non solo dagli avversari politici, ma anche da certi apparati giudiziari. E anche questa volta, intravisto il rischio del riaprirsi di una discussione nel merito – perché non solo qualche giornalista o l’opinione pubblica, ma alcuni pm, quindi magistrati, temono che Alberto Stasi sia in carcere da innocente – le reazioni alle parole di Nordio e a ipotetiche riforme non si sono fatte attendere. L’atteggiamento di parte della magistratura è di chiusura totale e alcuni argomenti rasentano il ridicolo. Addirittura si paventa il rischio che in tal modo accusa e difesa non sarebbero più sullo stesso piano, dimenticando che già oggi non lo sono a tutto vantaggio dei pm, colleghi dei magistrati giudicanti in barba a ogni principio di terzietà del giudice. Uno dei punti della riforma costituzionale della Giustizia che punta a risolvere la questione con la separazione delle carriere. Ma al netto di ciò, mettere sullo stesso identico piano accusa e difesa è impossibile, fosse solo perché la prima è rappresentata dallo Stato, mentre la seconda dai singoli cittadini. È chiaro che per quanto riguarda le risorse a disposizione delle parti non c’è paragone che tenga e, soprattutto, è evidente che se per l’attività dell’accusa, ovvero dei pm, a pagare sono i contribuenti, per quanto riguarda la difesa, invece, tutte le consulenze sono ovviamente a carico dell’imputato che prova a discolparsi. Già questo basta di per sé a dimostrare che non esiste alcun perfetto equilibrio tra accusa e difesa e che, quindi, non sarebbe certamente l’inappellabilità dei proscioglimenti in primo o secondo grado a minare un principio che già pende a tutto favore dei pm.
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