La manovra dei misteri (e delle meraviglie)
Maggioranza in subbuglio tra misure senza paternità e accuse incrociate: lo scontro tra tagli alla Metro C e l'ombra dei grand commis del Mef
Come Alice, Forza Italia sta scoprendo le mille meraviglie di una manovra da cui, ogni giorno, spunta un nuovo tema di discussione, di dibattito, di polemica. Prima le banche, poi gli affitti brevi. Un tema, questo, abbastanza spinoso, perché nella relazione al testo della manovra l’aggravio di cinque punti sulla cedolare potrebbe portare nelle casse dello Stato qualcosa come 102,4 milioni di euro. Stiamo parlando, considerati i grandi numeri di un bilancio come quello italiano, e col massimo rispetto del denaro (che farebbe la felicità di ognuno di noi), di noccioline o poco più. Forse è stato per questo che s’è davvero arrabbiato, Antonio Tajani. Ne ha ben donde, il segretario azzurro. Allo stato attuale, Forza Italia in questa manovra, di cui proprio Tajani, nella conferenza stampa con Meloni di sette giorni fa, s’era detto soddisfatto, ha portato a casa davvero pochino. Ma la questione degli affitti brevi lo ha fatto infuriare e lo ha messo a pensare. Pare, ha spiegato il capo di Forza Italia, che “a volte ci sia da parte di qualcuno una voglia di punire”. Chi sarebbe questo qualcuno così vendicativo? No, non si tratta dello Stregatto Giorgetti e nemmeno di quel Cappellaio Matto Salvini ma di “una sorta di grand commis del Ministero delle Finanze”. Una sorta di Bianconiglio, inafferrabile, che trama nell’ombra. Tajani, ha annunciato un emendamento soppressivo e ha rimarcato sicuro: “A decidere è la politica non i grand commis”. Un’accusa, questa, che sembra addirittura più forte e diretta di quella che, nel 2018, fu pronunciata dall’ex vicepremier Luigi Di Maio in occasione delle polemiche sul Decreto Dignità e dello scudo fiscale a esso collegato. Di Maio, con l’ex ministro all’Economia Giovanni Tria, evocò l’indimenticabile “manina”, escludendo responsabilità dal Mef. Da un (allora) novizio come Di Maio, esponente “rassicurante” di un movimento che ambiva ad aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, certe cose da Lepre Marzolina uno se le aspettava: complottismo, Deep State. Da Tajani, che rassicurante lo è per davvero anche in virtù di una lunghissima militanza nelle istituzioni a tutti i livelli, forse meno. Tanto pur basterebbe. E invece no. Perché nel pomeriggio è esploso un altro caso. La manovra taglia i ministeri e quello più tagliuzzato sarà il Mit. Solo quest’anno, perderà mezzo miliardo di fondi. Tra i progetti che verranno parzialmente definanziati, c’è pure la Metro C di Roma. Che perderà cinquanta milioni. Anche in questo caso, e proprio mentre Fdi ha minimizzato circoscrivendo la polemica in una sfera tutta capitolina, Forza Italia è cascata dal pero e Gasparri ha ricordato in Senato “la lettera inviata dal Ministro Tajani al Ministero dei Trasporti e al Ministero dell’Economia, con la quale chiedeva che tale intervento non fosse attuato”. Ciò mentre il capogruppo alla Camera Barelli ha promesso dura battaglia in Parlamento. Una situazione che, però, dà agio all’opposizione di maramaldeggiare. La durezza delle reazioni di Forza Italia è interpretata, da Italia Viva, come un segnale di poca, se non assente, considerazione nel governo: “Tajani chiede ogni giorno di modificare la manovra: ieri l’altro erano le banche, ieri gli affitti brevi, oggi la metro C di Roma”, ha detto la capogruppo Iv al Senato Raffaella Paita. Che ha lanciato una stilettata velenosissima: “Conferma che a lui il testo non l’hanno neanche fatto vedere”. Ma il segretario di Fi è troppo infuriato per badare alle minoranze. E, anzi, trascina Matteo Salvini – che sfoga il suo nervosismo minacciando le banche (“Ogni lamentela in più rappresenterà un altro punto di Irap aggiuntivo”) – nella polemica: “A Roma non c’è solo lo stadio, è la capitale e ha bisogno di una metropolitana che arrivi anche in aree dove i collegamenti non ci sono”.
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