Attualità

La via pacis di Papa Francesco

di Francesca Chaouqui -


Papa Francesco realizza in queste ore uno dei desideri incompiuti di San Giovanni Paolo II, quello di far visita e abbracciare un popolo che ha manifestato una fede ardente in un continente dove il cristianesimo è considerata una religione minoritaria. Non è di certo un caso se non è stato possibile prima recarsi in questa nazione, non è di certo un caso se a mettere piede su questa terra sia chiamato proprio Francesco in questo particolare tempo storico. Un territorio molto grande quello della Mongolia, abitato da un popolo non proprio numeroso di cui solo il 2% si ritiene di fede cristiana. Si potrebbe parlare di primi cristiani in quanto solo dal 1992 la Santa Sede è in relazione con il governo mongolo, nonostante i primi contatti di 777 anni fa, e solo dal 2002 a Ulan Bator è stata istituita la prefettura apostolica che si occupa oltre che della cura della spiritualità e dell’evangelizzazione anche di istruzione e cultura, carità e solidarietà, salute e servizi alla persona.

 

È la prima volta che un Papa raggiunge fisicamente questo territorio e Francesco lo fa nel suo quarantatreesimo viaggio apostolico, un cammino ricco di speranza accompagnato dalle note del compositore russo Aleksandr Porfir’evič Borodin per comprendere con i sensi l’essenza di un cristianesimo puro, delle origini, in cui la Risurrezione del Figlio di Dio è il fulcro della comunità cristiana. Come tra i primi cristiani anche in Mongolia si respira l’energia positiva della condivisione che rende possibile la fratellanza umana; come pellegrino di amicizia il Santo Padre con delicatezza elenca la bellezza dell’armoniosa azione dell’uomo con il creato che in questa terra si manifesta con la naturalezza sapienziale delle ger, le case mobili dei popoli nomadi, degli stili di vita semplici, del connubio tra tradizione e modernità, tra radici rappresentati dagli anziani e ali ovvero i giovani che oggi hanno l’opportunità di guardare l’orizzonte e proiettarsi in un futuro di pace. In un mondo sempre più in guerra tra fratelli, popoli e nazioni, la Mongolia ha scelto la pace, l’anno scorso è stato celebrato il trentesimo anniversario del suo status di paese libero dalle armi nucleari. Un’eccezione di cui poco si parla sui media ma che è un esempio per i governanti che tengono a cuore la pace dei popoli. È un viaggio diverso dagli altri, questo in Mongolia di Papa Francesco, dove più che donare riceve, dove il silenzio e l’orizzonte comunicano a squarciagola offrendo l’occasione di fare esperienza dell’empatia, dell’intelligenza emotiva, della trasmissione della fede che va oltre la dottrina e si genera con la sapienza del vivere, con la scelta di prendersi cura dell’altro, del creato, di sé.

Le basi per un accordo bilaterale tra Mongolia e Santa sede sembrano esserci nel comune intento volto al bene comune, ora bisogna concretizzarlo affinché si possano realizzare quelle attività ordinarie della comunità cattolica che favoriscono la cultura della solidarietà, il dialogo interreligioso e l’armonia sociale rendendo così i cristiani partecipi del cammino di crescita di questa meravigliosa terra. Francesco ha ben chiare le opportunità geopolitiche che questo territorio può offrire a favore della pace; la cultura di questo popolo, la sua novità nella modernità di questo tempo è un germoglio della pace possibile. Ad intravedere questo orizzonte è in primis il cardinale Giorgio Marengo, il più giovane membro del collegio cardinalizio, prefetto apostolico di Ulan Bator, che conosce bene il suo gregge e ne ha fatto un popolo di discepoli missionari sapendo di essere, anche se pochi, nel cuore della Chiesa e del Santo Padre e di poter offrire alla Chiesa universale un grande apporto per una nuova evangelizzazione. Quest’area del mondo ha dato testimonianza del grande valore della pace tra i popoli e la sua collocazione strategica tra Russia e Cina si rivela oggi di straordinaria importanza. A quanti si chiederanno “Cosa può venire di buono dalla Mongolia?” come Natanaele a Filippo nel Vangelo di Giovanni “Cosa può venire di buono da Nazareth?” anche il Santo Padre sembra rispondere “Vieni e vedi”. I viaggi apostolici hanno sempre segnato una tappa importante nel cammino di crescita dei popoli, Papa Francesco pianta qui la sua ger, nella steppa, sotto il cielo che rimane nonostante il passaggio delle nuvole, mette radici in questo luogo per far crescere il seme della pace di cui vorrebbe inondare il mondo e si affida alla Vergine Santa, la Madre Celeste affinché possa benedire questi passi di speranza per un cammino dell’umanità verso la Santa Gerusalemme, la città della convivenza pacifica, dell’armonia e della bellezza. Domani Francesco tornerà in Vaticano, un pezzo di cuore lo lascerà in Mongolia nella certezza che il lavoro svolto porterà i frutti a beneficio dell’umanità e a gloria del Creatore.


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