Liste chiuse, parte la resa dei conti dal Veneto alla Puglia
Oggi si scoprono le carte delle liste. Vannacci non arretra. Dopo il flop toscano, rilancia: “I miei team sono 170, presto 200”. In Veneto, che non lo ama, il generale piazza 4 candidati nelle fila leghiste, confermando che il suo “Mondo al contrario” è una componente reale, non più solo simbolica. Se il Federale ha tracciato il confine, nessun partito nel partito, la presenza dei suoi uomini dimostra che il Carroccio vive una stagione di convivenze forzate.
La campagna decisiva
E proprio in Veneto si combatte la battaglia decisiva. Dopo le Europee, con FdI al 37% e la Lega al 13%, per Salvini l’avversario è l’alleato. Il Veneto è il laboratorio della riscossa: Alberto Stefani, il giovane segretario, è il candidato governatore, ma il volto della sfida resta Luca Zaia, capolista in tutte le province e simbolo del partito-territorio. Salvini gli affida la rimonta, convinto che solo il carisma del Doge possa restituire ossigeno a un partito in affanno. Ma dietro la lealtà formale si consuma una guerra di leadership: Zaia è pragmatico e istituzionale, Salvini resta divisivo. FdI corre organizzato e disciplinato, punta a presidiare ogni provincia con amministratori radicati e obiettivo chiaro: doppiare la Lega a Verona e Vicenza, erodere consensi a Padova e Rovigo, contenere la Lega a Treviso. Meloni vuole spostare il baricentro del centrodestra nel Nord produttivo, dove l’egemonia leghista non è più scontata.
La Campania
In Campania, la sfida è opposta ma altrettanto esplosiva. Il governatore uscente Vincenzo De Luca, forte di un consenso personale rilevante, resta il convitato di pietra della partita. Non corre, ma il suo sistema di potere pervade le liste che sostengono Roberto Fico, il candidato del campo largo che promette discontinuità ma si ritrova circondato da ex deluchiani, amministratori di lungo corso e candidati con ombre giudiziarie. Il “codice etico” a maglie larghe smentisce la retorica del cambiamento. Nel frattempo, Clemente Mastella fiuta l’aria e piazza il figlio in lista con il centrodestra, a sostegno di Edmondo Cirielli, segno di un possibile ribaltone regionale. Il campo progressista rischia di vincere senza cambiare, o di perdere smarrendo la ragione stessa della corsa. L’affluenza prevista sotto il 50% premierà chi ha reti solide, non chi parla di valori astratti.
La Puglia
In Puglia, infine, Antonio Decaro guida un’ammiraglia Pd rodata ma senza scosse: liste blindate, pochi volti nuovi, continuità amministrativa. L’unica novità è la civica “Decaro Presidente”, che apre alla società civile e alle donne. Il progetto dell’università telematica pubblica pugliese segna la sua cifra: pragmatismo e concretezza. Ma la mancanza di rinnovamento può diventare vulnerabilità, se il centrodestra saprà incanalare la domanda di cambiamento.
Dal Veneto alla Puglia, l’autunno elettorale non è un voto locale ma un check-up del potere italiano: al Nord, la Lega misura la propria sopravvivenza tra Stefani, Zaia e Vannacci; al Sud, Fico e Decaro testano la credibilità di un centrosinistra che fatica a rigenerarsi.
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