Cronaca

L’omicidio di Lisa Gabriele, la zia: “É stato Maurizio Abate”

di Rita Cavallaro -


“Mia nipote Lisa per me era più di una figlia e io non mi arrenderò mai, lotterò per lei fino alla morte. Io l’ho detto dal primo momento che è stato Maurizio Abate ad ammazzare mia nipote e deve andare in galera per tutta la sua vita. Ha avuto qualche aiuto, ma è stato lui e nessuno mi convincerà del contrario. Purtroppo la giustizia non è di questo mondo, ma spero che arriverà per la mia Lisa”. Si sfoga Angelina Gabriele, zia di Lisa, la ragazza di 22 anni trovata morta, in circostanze misteriose, il 9 gennaio 2005, in un bosco di Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza. Il caso, disseminato da depistaggi e dalla messinscena di un suicidio, era stato riaperto tre anni fa, quando i magistrati cosentini avevano iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di omicidio volontario aggravato, Maurizio Mirko Abate, 54 anni, un ex poliziotto della Stradale di Cosenza con il quale la ragazza, all’epoca della sua morte, aveva una relazione sentimentale. Abate è stato assolto, per insufficienza di prove, tanto più che il suo dna non corrisponde minimamente con le tracce biologiche trovate sul corpo di Lisa. I sospetti su Abate si erano addensati sulla base di alcune testimonianze, che avevano puntato il dito contro il poliziotto, e la necessità di confrontare il profilo genetico dell’uomo con un dna repertato sotto le unghie della vittima avevano spinto gli inquirenti a formalizzare le accuse contro Abate. L’ex poliziotto era infatti finito già nel mirino degli investigatori per il furto di una pistola a un collega. Fu in quell’occasione che all’uomo, indicato come l’amante di Lisa, venne prelevato un campione di sangue per compararlo con il materiale genetico trovato sotto le unghie della giovane, che probabilmente si sarebbe ribellata al suo aggressore quel tragico 9 gennaio 2005, quando il corpo della vittima venne trovato a seguito di una telefonata anonima. Gli inquirenti arrivarono sul luogo del delitto e si trovarono davanti a quella che viene considerata una messinscena, una scena del crimine creata ad arte per convincere gli investigatori che Lisa si fosse volontariamente tolta la vita. Vicino al corpo c’erano due bottiglie di whisky svuotate, una confezione di antidepressivi, anche quella vuota, e una lettera d’addio. Inizialmente il piano dell’assassino funzionò, tanto che la prima ipotesi fu proprio quella del suicidio. Ma quando l’autopsia non rilevò alcuna traccia di alcol e droga, i carabinieri si resero conto che ci fosse qualcosa di più dietro quella morte. Lisa non aveva segni di violenza sul corpo, ma gli approfondimenti svelarono che la causa della morte era stata provocata dalla mancanza d’ossigeno. Insomma, Lisa era stata soffocata, probabilmente con un cuscino. Inoltre la ragazza sarebbe stata uccisa altrove e trasportata poi nel bosco, dove l’assassino sarebbe tornato più volte per preparare la messinscena. A confermarlo una serie di impronte di pneumatici diverse da quelle della macchina di Lisa e la posizione del cadavere, disteso in modo del tutto innaturale, con gambe e braccia contratte. Significativa la perizia calligrafica sulla lettera d’addio: il biglietto sarebbe stato scritto da due persone, il frammento in cui non si fa riferimento a istinti suicidi da Lisa, la parte con le frasi d’addio no. Gli investigatori si convinsero che il suicidio fosse un depistaggio. E quando un esposto anonimo svelò la relazione amorosa di Lisa con Abate, il cerchio si strinse attorno all’ex poliziotto. L’anonimo aveva inoltre fornito un movente: “Per non essere lasciata, Lisa aveva comunicato a lui di essere incinta, si era presentata con un piccolo cuscino sotto i vestiti per simulare la pancia gonfia, ma lui l’ha picchiata così selvaggiamente che la ragazza è stata costretta a recarsi in ospedale”. Abate finì dunque in carcere ma, nel corso del processo, la difesa è riuscita a confutare l’impianto accusatorio, partendo dal dna, che dalla comparazione con quello repertato sulla salma di Lisa ha rivelato una sostanziale incompatibilità con quello del sospettato. Una volta scagionato dalla prova regina, il castello dell’accusa è via via caduto, fino a portare all’assoluzione di Abate.


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