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Netflix, la cancel culture non paga e i dipendenti scioperano: “Vi offendono i contenuti? Licenziatevi”

Netflix non sta vivendo uno dei periodi più rosei: la piattaforma di streaming, qualche settimana fa, ha fatto sapere di aver perso ben 200mila abbonati negli ultimi mesi.

di Ilaria Paoletti -


E sebbene la società abbia preferito dare la colpa di questa sconfitta al problema degli account condivisi, anche il catalogo offerto sembrerebbe avere le sue colpe: troppe serie e film a tema Lgbt e troppe opere ambientate nel passato che per andar dietro alla diversity perdono in ricostruzione storica. All’improvviso non sembra più così lungimirante, dal punto di vista economico, censurare artisti “scorretti” o contenuti lontani dal politically correct. Perché, incredibile a dirsi, anche quelli hanno il loro pubblico. E dato che il profitto è importante per il gigante dello streaming tanto quanto lo è per tutte le aziende del mondo, è bene che i dipendenti troppo attenti alla cultura woke e troppo sensibili a certi temi se ne facciano una ragione. Altrimenti, “quella è la porta”. Questo sembra essere il senso del memo, intitolato Netflix Culture – Seeking Excellence, che l’azienda ha inviato ai propri lavoratori. “Intrattenere il mondo è un’opportunità straordinaria e anche una sfida perché gli spettatori hanno gusti e punti di vista molto diversi”, si legge nella nota. “Quindi offriamo un’ampia varietà di programmi TV e film, alcuni dei quali possono essere provocatori. Per aiutare i membri a fare scelte informate su cosa guardare, offriamo valutazioni, avvisi sui contenuti e parental control facili da usare”. “Non tutti saranno d’accordo con tutto ciò che offre il nostro servizio”, scrive ancora l’azienda. “Ma sosteniamo l’espressione artistica dei creatori con cui scegliamo di lavorare; programmiamo per una varietà di pubblico e gusti; e lasciamo che gli spettatori decidano cosa è appropriato per loro”. E poi, il messaggio ai dipendenti: “A seconda del tuo ruolo, potresti dover lavorare su titoli che ritieni offensivi. Se trovi difficile supportare la nostra ampiezza di contenuti, Netflix potrebbe non essere il posto migliore per te”. A rendere necessaria questa nota sono state le polemiche sullo spettacolo The Closer del comico afroamericano Dave Chappelle. La controversia, che ha coinvolto Netflix lo scorso autunno, è stata causata da alcuni stralci dello spettacolo ritenuti transfobici e omofobici. Il co-CEO del gigante dello streaming, Ted Sarandos ha sostenuto la decisione dell’azienda di mantenere lo speciale Chappelle sulla piattaforma. E questo ha dato il via alla reazione dei dipendenti, che hanno indetto uno sciopero contro l’azienda. Nel suo show, il comico “osa” affrontare il tema della transfobia, ma il suo sarcasmo nei confronti della cosiddetta cancel culture non è piaciuto ai fan del politically correct. In uno dei segmenti incriminati, il comico dichiara di credere che “gender is a fact” (“il gender esiste”), considerazione ormai ritenuta obsoleta e intollerante e che ha turbato spettatori, vip e infine anche i dipendenti della società. I quali, a quanto pare, se ne dovranno fare una ragione…


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