La strategia alla base del rinnovato dibattito sul limite dei due mandati
Come andrà a finire non si sa, ma che il dibattito sul limite dei due mandati sia destinato a durare ancora a lungo è ormai una certezza. Solo fino a pochi mesi fa, dopo che il governo ha impugnato la legge della Campania che avrebbe consentito a Vincenzo De Luca di correre una terza volta per la guida della Regione, la questione sembrava archiviata, con tutti i contraccolpi del caso, sia sul fronte della maggioranza che su quello dell’opposizione. Quella che sembrava essere una pietra tombale su Luca Zaia in Veneto e, in prospettiva, su Massimiliano Fedriga in Friuli aveva esacerbato gli animi nel centrodestra, scatenando le proteste della Lega, mentre lo stop a De Luca aveva riaperto la strada al campo largo. All’indomani della sentenza con la quale Corte costituzionale dichiarava illegittima la legge regionale della Campania, i vertici locali del Pd si erano immediatamente riuniti, tirando un respiro di sollievo vista la dichiarata contrarietà della segretaria Elly Schlein a sostenere, in qualsiasi caso, una nuova candidatura del governatore in carica e con il figlio del governatore, il deputato Piero De Luca, fermo nel chiedere un riconoscimento di quanto fatto dal padre negli ultimi dieci anni. Il Movimento 5 Stelle era ritornato in partita, con Roberto Fico e Sergio Costa pronti a contendersi la testa della cavalcata del campo largo verso la presidenza della Giunta regionale. Una logica che avrebbe consentito al Pd di giocarsi la partita della Puglia post Emiliano in casa, un derby tra Antonio De Caro e Francesco Boccia.
Adesso, tutto sembra essere nuovamente in discussione, dopo l’apertura di Fratelli d’Italia a intavolare un ragionamento con le regioni sul limite dei due mandati
Un cambio di rotta quello di via della Scrofa che ha spostato gli equilibri all’interno del centrodestra, lasciando Forza Italia da sola a sostenere le ragioni della contrarietà a eventuali modifiche al limite dei due mandati. Ma cosa ha provocato questo cambio di posizionamento? Probabilmente alla base di questa scelta c’è la maturata convinzione dell’importanza di gestire – e non subire – processi da un lato delicati e, dall’altro, politicamente molto rilevanti. Il presupposto per un’apertura del dialogo è infatti che questo avvenga su richiesta delle regioni, meglio ancora della Conferenza delle Regioni, come ha chiarito Giovanni Donzelli, e non dei singoli governatori giunti a scadenza o dei partiti a cui essi appartengono. La partita si vuole dunque spostare dal campo politico a quello istituzionale, così da mettere il pallino nelle mani di Palazzo Chigi. Eventualmente anche per concordare con i governatori, a cui spetta indire le elezioni scegliendone il giorno, un’unica data in cui svolgere le consultazioni in tutte le regioni chiamate al voto. Allo stato, infatti, Campania, Puglia e Toscana non sembrano contendibili, mentre le Marche sono in bilico e il risultato in Veneto è legato a filo doppio al destino di Zaia. Per il centrodestra – e per Giorgia Meloni che ne è leader – una sconfitta ogni 15 giorni, anche solamente nelle tre realtà attualmente a guida centrosinistra, rappresenterebbe un logoramento più dannoso rispetto a che se avvenisse in un’unica data. Inoltre, aprire un confronto sul limite dei due mandati, a prescindere dalla conclusione alla quale si giungerà, che potrebbe essere anche quella di un superamento del vincolo per le sole regioni a Statuto speciale, rimetterebbe in corsa De Luca ed Emiliano (anche se quest’ultimo non sembra intenzionato a un terzo giro), con conseguente nuovo disgregamento del campo largo. In questo caso, la partita almeno in Campania si riaprirebbe, mentre se si optasse per un cambio di norme a favore del terzo mandato, il Veneto resterebbe certamente a Zaia e la Lega inizierebbe a lavorare per la riconferma di Attilio Fontana in Lombardia nel 2028. Questo al netto della posizione di Vannacci che schierandosi contro il posizionamento ufficiale della Lega rappresenta una voce fuori dal coro. Almeno quello ufficiale.
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