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Attualità

Salario reale, un altro tracollo: -8,8% da gennaio ’21

I dati Istat, le retribuzioni crescono ma non è abbastanza

di Martino Tursi -


Un altro tracollo per il salario reale. Le retribuzioni continuano a crescere ma meno dell’inflazione e dei prezzi. Dal combinato disposto di queste due dinamiche, il quadro al limite del precario per le famiglie italiane. L’Istat, nel report riguardante le prospettive per l’economia italiana nel 2025 e 2026, snocciola i numeri. Che fanno paura. Rispetto a quattro anni fa, cioè al mese di gennaio 2021, le retribuzioni (così come misurate a settembre scorso) risultano inferiori, in termini di potere d’acquisto e dunque di valore “reale”, addirittura dell’8,8 per cento.

Il destino del salario reale

Ciò a causa del fatto che, nel terzo trimestre di quest’anno, c’è stato un ulteriore rallentamento della crescita tendenziale delle retribuzioni contrattuali. Solo nel pubblico, difatti, si sono registrati adeguamenti degni di tale nome. Nei servizi, invece, s’è imposta una sostanziale stabilità mentre addirittura, per quanto riguarda l’industria, si è notato quello che gli analisti di via Cesare Balbi hanno bollato come un significativo rallentamento.

I numeri Istat

I dati pubblicati dall’Istat riferiscono inoltre che le previsioni ritengono plausibile una “chiusura” dell’anno con un aumento delle retribuzioni pro capite da stimare nel 2,9%. Una dinamica che risulterebbe in ulteriore rallentamento nel 2026. Quando la crescita delle retribuzioni dovrebbe attestarsi al 2,4%. Tuttavia, fanno sapere dall’istituto nazionale di statistica, con lentezza si andrebbero a recuperare ulteriori margini del potere d’acquisto bruciato a partire dal 2022 con la guerra in Ucraina e gli choc economici che ne sono seguiti. A cominciare da quello energetico. Di fronte a questa analisi è facile, allora, comprendere perché gli indici di fiducia dei consumatori restino bassi e tendenti a un continuo deterioramento. Nonostante tutto, gli italiani continuano a spendere. A consumare, nei limiti del possibile. Anche perché, per avere meno bisogna investire di più.

La domanda interna regge: fino a quando?

La domanda interna rimane il pilastro a cui s’aggrappa il sistema economico e produttivo nazionale. Chissà fino a quando reggerà. I numeri sulle retribuzioni arrivano all’indomani di quelli legati all’occupazione. Che ha fissato al 62,7% la percentuale di occupati in Italia a ottobre. Un record storico per il Paese. Che potrebbe pure migliorare nel 2026 quando la percentuale di disoccupati è data ulteriormente in ribasso, al 6,1 per cento. Bene ma non benissimo. Perché torna lo spettro del lavoro povero. In un Paese in cui le paghe continuano a essere basse e il costo della vita si conferma ancora più alto.


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