Donald Trump deve aver confuso il Palazzo di vetro di New York con lo State Farm Stadium di Glendale. Al netto della sua scarsa considerazione per l’Onu, che non ha abbandonato per schermare Israele attraverso il diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza, non si possono spiegare altrimenti le sue uscite.
I disastri di Trump
Il presidente degli Stati Uniti, in un colpo solo, ha azzerato i progressi nelle relazioni con la Russia, sconfessato i suoi stessi uomini e aumentato il rischio di un’escalation militare con il coinvolgimento della Nato. Quella trumpiana non è una strategia, ma una forma di bullismo che mortifica il senso e la ragione dell’esistenza delle stesse Nazioni Unite. L’unica differenza con il suo alleato di ferro Benjamin Netanyahu, premier di Israele, è data dall’attitudine a cambiare posizione. Netanyahu ha l’idea fissa in testa del “Grande Israele”. Trump, al contrario, cambia visione e postura a seconda del consesso e dell’interlocutore che ha di fronte.
L’ultima dimostrazione è stata data dagli incontri con i presidenti di Francia e Ucraina Emmanuel Macron e Volodymyr Zelensky, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Donald il “pacificatore” si è trasformato in un un “volenteroso” qualsiasi, inteso come appartenente alla famigerata coalizione di guerrafondai.
Nel bilaterale con Macron, il tycoon ha detto che “l’Ucraina dovrebbe riottenere tutti i suoi territori”, smentendo il suo inviato speciale Keith Kellogg che, appena qualche giorno fa, ha invitato tutti ad “accettare la realtà”, visto che “il 65% del Donetsk e il 98% del Lugansk sono occupati” dai russi. Ancora peggio ha fatto durante il faccia a faccia con Zelensky. Rispondendo a una domanda su una delle questioni più dibattute del momento, ha sostenuto che i Paesi Nato debbano abbattere i caccia russi che sconfinano nel loro territorio. Per chiudere il cerchio è arrivato l’immancabile post su Truth Social. “Penso che l’Ucraina, con il sostegno dell’Unione Europea, sia in grado di combattere e riconquistare tutta l’Ucraina nella sua forma originale”, ha scritto il leader del GOP, prima di liquidare la Russia come una “tigre di carta” in pericolo economico.
Sconfessato anche Rubio
In precedenza, era cambiata la sua idea anche sulle sanzioni contro la Federazione russa, considerate possibili, demolendo il ragionamento del segretario di Stato Marco Rubio. “Nel momento in cui aumentiamo troppo le sanzioni e tutto il resto – aveva avvertito Rubio a Nbc Today – la nostra capacità di agire come mediatori per raggiungere la pace diminuisce”. Chiaramente non aveva fatto bene i conti con la “mutevolezza” trumpiana.
La replica della Russia
Mosca non ha esitano a rispondere a Donald Trump, con una raffica di commenti. “La Russia non è una tigre. Il Paese è piuttosto associato a un orso. E non esistono ‘orsi di carta’. La Russia è un vero orso”, ha ironizzato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, incolpando Zelensky di aver influenzato il suo omologo americano. Il processo di riavvicinamento fra Russia e Stati Uniti “è lento, molto lento”, ha affermato Peskov a Rbc, sottolineando che i tentativi del presidente statunitense di rilanciare le relazioni, “hanno avuto una efficacia vicina allo zero”. La Russia ha fatto sapere di non avere alternative al proseguimento della guerra in Ucraina.
Al gran finale ha provveduto Zelensky, seppellendo i negoziati così: “Se una nazione vuole la pace deve ancora lavorare sulle armi”.