Politica

Urne aperte per i referendum da domani, ma si parla ancora solo di quorum

di Giuseppe Ariola -


Ci siamo, domani si apriranno le urne per i referendum, ma c’è da scommettere che le forti polemiche che hanno accompagnato le ultime settimane terranno banco ancora per giorni. A ben vedere, l’intera campagna referendaria è stata infatti contraddistinta più dallo scontro sul posizionamento dei partiti che da un confronto sul contenuto dei quesiti, il cui merito è stato solo a tratti sfiorato, oltretutto in modo assai superficiale, con brevi spot adatti più al mondo dei social che a un dibattito realmente esaustivo sui temi. In sostanza, tutto è ruotato attorno alla questione del quorum, riaprendo un’antica questione: l’astensione come scelta politica. Una strategia vecchia quanto il mondo e utilizzata puntualmente e in modo trasversale da tutte le forze politiche nel corso degli anni proprio per depotenziare una consultazione non condivisa con il dichiarato intento di farla fallire sul piano numerico. Nessuno scandalo, almeno fino ad oggi, ovvero fino a quando promotori e sostenitori dei referendum si sono resi conto dell’incapacità di portare con le sole proprie forze ai seggi la metà degli elettori italiani. Da qui gli attacchi a quei partiti, contrari ai quesiti referendari, che hanno invitato i propri elettori a disertare le urne. Una pretesa, quella di ricevere un aiuto sul fronte numerico dagli avversari politici, che vacilla tra l’assurdo e l’incomprensibile e che suona più o meno così: senza i voti di chi è contrario ai referendum chi è a favore non può vincerli. E la reazione al posizionamento di chi è per l’astensione è tanto peggiore, perché l’accusa è quella di minare le regole democratiche, come se la previsione costituzionale di un quorum non rientri tra queste. E quel che suona ancora più paradossale è che ad affrontare da un punto di vista dei contenuti i cinque quesiti sia stato proprio chi ha invitato all’estensione e non quanti, invece, hanno invocato una corsa alle urne con il solo fine di sfruttare l’occasione per un referendum più sul governo che sul lavoro o la cittadinanza. Senza contare che differenze di vedute sostanziali si sono registrate sia sul fronte sindacale, assolutamente non unito, che su quello del centrosinistra dove a regnare sono una lunga serie di distinguo. Il Pd ufficialmente sostiene tutti e cinque i quesiti, ma l’area riformista ne voterà solamente due, Azione e Italia viva, solo quello sulla cittadinanza, mentre il Movimento 5 Stelle è apertamente per il sì solo per i quattro referendum in tema di lavoro. In questo quadro disomogeneo, qual è la logica di attaccare chi dall’altra parte del campo è invece per l’astensione? Sempre la solita, l’unico collante è la demonizzazione dell’avversario.


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