Il Leone d’Oro, come sempre, è un enigma fatto di estetica, politica e pura emozione. Alberto Barbera ha messo insieme un mosaico di 21 titoli, in cui spicca una presenza italiana che non si vedeva da anni.
Paolo Sorrentino apre le danze con La grazia, ambientato a Napoli, opera che si preannuncia come un ritorno al barocco sentimentale e visionario de È stata la mano di Dio, ma con una meditazione più cupa sulla sacralità ferita. È lui uno dei favoriti, forte di un linguaggio che qui al Lido è sempre stato amato e premiato.
Accanto a Sorrentino, Gianfranco Rosi con Sotto le nuvole gioca la carta di un cinema contemplativo, fatto di immagini sospese e indagine geopolitica. Il suo sguardo, già Leone d’Oro con Sacro GRA, potrebbe nuovamente incontrare la sensibilità della giuria. Pietro Marcello, con Duse, porta invece un biopic che promette di essere meno convenzionale di quanto il titolo lasci immaginare, mescolando archivi, fiction e lirismo. Leonardo Di Costanzo e Franco Maresco completano la pattuglia italiana, con due opere molto diverse: il primo stringe la macchina da presa su un dramma personale e morale, il secondo torna a una Palermo deformata dalla satira amara e dalla nostalgia. Sul fronte internazionale, la competizione si fa durissima.
Guillermo del Toro presenta un Frankenstein monumentale, con Oscar Isaac e Mia Goth, in cui il mito gotico diventa allegoria della creazione e del potere. Olivier Assayas, con The Wizard of the Kremlin, punta a un racconto di potere e manipolazione nell’ombra del Cremlino, mentre Noah Baumbach propone Jay Kelly, ensemble movie con Clooney, Sandler e Laura Dern che potrebbe convincere per la sua leggerezza solo apparente.
Il Leone potrebbe anche sorridere a chi osa di più sul piano politico: Kathryn Bigelow torna con A House of Dynamite, un thriller che intreccia tensione e commento sociale; Park Chan-wood, maestro del noir coreano, arriva con No Other Choice, che promette eleganza formale e crudeltà chirurgica. E attenzione a Yorgos Lanthimos con Bugonia, che potrebbe replicare la fortuna di Povere creature! grazie a un cast guidato da Emma Stone. Non vanno dimenticati i maestri più schivi: Ildikó Enyedi con Silent Friend e Jim Jarmusch con Father Mother Sister Brother, che riunisce Cate Blanchett, Adam Driver, Tom Waits e Charlotte Rampling, candidati naturali per premi alla regia o alla sceneggiatura.
Se il concorso è la vetrina del cinema già affermato, Orizzonti è il laboratorio. Qui si cercano le forme nuove, linguaggi che potrebbero definire il cinema di domani. L’apertura con Mother di Teona Strugar Mitevska, interpretato da Noomi Rapace, indica la volontà di intrecciare storia e spiritualità, biografia e mito. Dall’Italia arrivano Il rapimento di Arabella di Carolina Cavalli, un dramma generazionale venato di ironia, e Un anno di scuola di Laura Samani, che prosegue la sua esplorazione del confine tra infanzia e maturità.
Tra i titoli internazionali più promettenti: Late Fame di Kent Jones, con Willem Dafoe, potrebbe essere un outsider di lusso; The souffleur di Gaston Solnicki promette leggerezza formale e rigore estetico; Funeral Casino Blues di Roderick Warich esplora la decadenza urbana come fosse un blues visivo. Dal Giappone, Harà Watan (Lost Land) di Akio Fujimoto promette delicatezza e dolore, mentre Rose of Nevada di Mark Jenkin porta l’evocazione poetica dei suoi film precedenti in un contesto nuovo.
Orizzonti, tradizionalmente, va a opere che sfidano la narrazione canonica. È plausibile che quest’anno la scelta ricada su un titolo capace di unire sperimentazione e impatto emotivo: Mother e Lost Land sono i più quotati, ma non si esclude una sorpresa da un’opera latinoamericana, come Barrio triste di Stillz, che potrebbe trovare in giuria una sponda sensibile alla realtà delle periferie globali. A Venezia, però, i pronostici sono sempre fragili. Ogni proiezione può ribaltare la percezione generale, e il vento del Lido sa cambiare direzione in un attimo. Quel che è certo è che, tra il Leone d’Oro e il miglior film di Orizzonti, quest’anno si decideranno non solo i vincitori di un festival, ma anche alcune delle traiettorie principali del cinema nei prossimi anni. Nel frattempo, la Laguna si riempie di attese, tappeti rossi e di sguardi che scrutano la sala buia: alla ricerca, come sempre, della scintilla che solo il grande cinema sa dare.