La Cina è fin troppo vicina, almeno per Pirelli. Che rischia grosso sul mercato americano a causa dei dazi e, soprattutto, a causa dello scontro economico tra Usa e Pechino che si trascina ormai da mesi, se non da anni. Il caso Pirelli, già in queste settimane, s’è trascinato sullo sfondo della vicenda più grande e generale delle tariffe. Ma rimane un problema, strategico, quello del futuro di una delle aziende italiane più importanti al mondo. A forte, fortissima, trazione cinese. Il 37% dei quasi due miliardi di capitale sociale di Pirelli, difatti, appartengono a Sinochem, il colosso petrolchimico (di Stato) della Cina. Che non ha più voce in capitolo nel consiglio d’amministrazione, dopo il voto che, a fine aprile e “ai sensi del principio contabile Ifrs 10” ha di fatto spazzato via la rappresentanza asiatica nel board della società. Ma azzerare i dirigenti Sinochem rischia di non bastare a Pirelli. Già, perché la frontiera è un’altra. E, se possibile, travalica la questione dei dazi incistandosi sulla vicenda della guerra digitale e tecnologica tra Washington e Pechino. In pratica, Pirelli rischierebbe grosso sul mercato americano poiché le leggi Usa fisserebbero paletti invalicabili alle aziende partecipate dalla mano pubblica cinese che propongono tecnologie ritenute sensibili. Come, per Pirelli, quella del Cyber Tyre, l’innovativo pneumatico in grado di raccogliere e trasmettere dati durante la guida. Un progetto sul quale la società del vicepresidente esecutivo Marco Tronchetti Provera punta fortissimo per blindare e rafforzare la sua quota di mercato oltre Oceano. Che rappresenta, allo stato attuale, circa il 40 per cento del fatturato. Insomma, se Pirelli venisse sbalzata via dagli States sarebbe una vera e propria iattura. E non solo per l’azienda. Ma un po’ per tutto il sistema industriale italiano. Per questo motivo, nella mattinata di ieri, è stato il presidente di Confindustria Emanuele Orsini ad alzare la voce e a chiedere al governo di fare sul serio per difendere un gioiello della nostra economia dalle tensioni geopolitiche che attraversano il mondo: “Pirelli è oggi in stallo. Serve una risposta forte del Paese. Auspichiamo che il governo difenda Pirelli, un’eccellenza del nostro Made in Italy”. Orsini, a margine di un evento a Parma, ha centrato il nocciolo della questione che è, evidentemente, tutto economico oltre che politico: “Senza una riduzione stabile della quota di Sinochem sotto il 25%, Pirelli non potrà crescere negli Usa, con gravi ricadute anche in Italia: molte nuove assunzioni e importanti investimenti sarebbero infatti a rischio”. Ciò perché, riporta il numero uno di viale dell’Astronomia, “le nuove leggi Usa vietano l’accesso al mercato a società con soci pubblici cinesi su tecnologie sensibili, come il Cyber Tyre” e con ciò “lo sviluppo globale di Pirelli rischia una brusca frenata a causa della presenza del socio cinese Sinochem (37%), legato allo Stato cinese”. Il non detto è intuitivo: serve che qualcuno induca i cinesi, se non a sloggiare, quantomeno a cedere (parte) della loro partecipazione azionaria. Cosa che, a Sinochem, nessuno ha intenzione di fare. Almeno per il momento. E ne sa qualcosa proprio Marco Tronchetti Provera che guida la cordata Camfin (fino a dicembre al 26,1% del capitale sociale) nello sforzo, per ora defatigante, di smuovere i cinesi e di indurli a vendere. “La società – in una nota redatta subito dopo la pubblicazione dei dati della trimestrale della Bicocca – prende inoltre atto dell’atteggiamento non collaborativo e apparentemente non motivato di Sinochem nel supportare il percorso per risolvere le problematiche legate allo sviluppo sul mercato Usa, nonostante gli ottimi risultati conseguiti da Pirelli in tutti i Paesi e la leadership nel segmento alto di gamma e in termini di innovazione tecnologica”. Situazione, quella con Sinochem che, “qualora non si riuscisse a definire rapidamente” vedrebbe Camfin “costretta a valutare gli effetti di tali comportamenti su Pirelli e sul patto parasociale”. La furia di Tronchetti Provera e soci esplose quando, il 14 maggio scorso, s’erano concluse con esito non positivo le trattative “con i principali azionisti della società per tentare di risolvere le problematiche legate allo sviluppo sul mercato statunitense”. Tutto verte attorno all’America e attorno alla (grande) guerra digitale e tech tra i Paesi. La parte cinese, inoltre, aveva riferito di aver già presentato una proposta agli uffici del Golden Power. Da cui il management della Bicocca ha preso fin da subito le distanze. Pirelli ha chiuso i primi tre mesi del 2025 con ricavi in aumento del 3,7% a 1,75 miliardi di euro e gli utili schizzati del 26,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a 127,2 milioni. Numeri importanti che restituiscono la grandezza di uno scontro globale: Usa e Cina, con Pirelli in mezzo.