Esteri

Le tre opzioni sul tavolo per colpire al cuore (nucleare)

di Monica Mistretta -


Era il primo giorno di guerra quando Yechiel Leiter, ambasciatore israeliano a Washington, pronunciò le fatidiche parole: “L’intera operazione potrà concludersi solo con l’eliminazione di Fordo”. L’attento lavoro diplomatico nelle ultime 24 ore ha portato i suoi frutti, trasformando l’intervento americano, che il presidente Trump aveva inizialmente escluso, nella principale opzione sul tavolo.

Obiettivo: Fordo, l’impianto nucleare che l’Iran ha costruito all’interno di una montagna, a prova di attacchi missilistici, e che Israele al momento non sembra avere la possibilità di colpire. È Washington, con le speciali bombe anti-bunker, l’unica a poter percorrere questa strada.
Per un occidentale non è facile comprendere le ragioni per cui il più segreto e protetto degli impianti nucleari iraniani sorga a pochi chilometri dalla città santa di Qom, meta di pellegrinaggio per milioni di sciiti in tutto il mondo. E perché Teheran su questo sito nucleare non sia disposta a trattare, malgrado una guerra in corso sempre più difficile da sostenere.

Le prime notizie su Fordo risalgono al 2009, quando un report dell’intelligence occidentale rivela per la prima volta la struttura sotterranea. L’Iran è costretto ad ammetterne l’esistenza davanti all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Passano 14 anni prima che l’AIEA torni sul tema: nel 2023 gli ispettori dell’agenzia rivelano nel sito tracce di uranio arricchito al 84%. Una percentuale di poco inferiore a quella del 90%, utile per la produzione di un ordigno nucleare.

L’Iran ha solo una timida reazione: si limita a negare che i livelli di arricchimento dell’uranio siano intenzionali. Passano altri due anni prima che un nuovo report dell’AIEA riveli una verità sconcertante. Meno di un mese prima dell’attacco israeliano si viene a sapere che le scorte di uranio arricchito al 60% custodite nell’impianto sarebbero sufficienti alla produzione di nove ordigni nucleari, se arricchite al 90%. Un procedimento che può essere messo in atto in tempi relativamente rapidi. Soprattutto in guerra e in un impianto protetto da attacchi missilistici.

Ma le cattive notizie non sono finite. Non tutti, infatti, sono proprio d’accordo sul fatto che le bombe americane anti-bunker GBU-57 A/B siano in grado di danneggiare l’impianto di Fordo. Il sito sorge a circa 90 metri di profondità, protetto dalla roccia del terreno montagnoso. La capacità di penetrazione delle bombe a penetrazione statunitensi GBU-57 A/B, invece, sarebbe di 61 metri nel sottosuolo. Infine, un’ultima incognita, se così di può dire: in caso di attacco con bombe anti-bunker l’AIEA ha messo in guardia dal pericolo di una possibile fuoriuscita di radiazioni dal sottosuolo.
Di certo, per ora, si sanno due cose. L’impianto non è ancora stato colpito da attacchi israeliani. Tuttavia, secondo l’agenzia semi-ufficiale iraniana Mehr News Agency, la base missilistica Hazrat-e Masoumeh, costruita a est di Fordo a protezione dell’impianto, sarebbe stata distrutta dai bombardamenti del primo giorno di guerra.

Ieri, mentre veniva chiusa l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, l’esercito americano in Medio Oriente è entrato in stato d’allerta. Contemporaneamente, aerei da rifornimento e caccia statunitensi F-16, F-22 e F-35 hanno raggiunto la regione. Nessuno, però, fino ad ora ha parlato degli B-2 Spirit e B-21 Raider, gli unici caccia in grado di portare a Fordo le bombe anti-bunker, che pesano 13.608 chilogrammi. Alcuni ufficiali americani hanno perfino ventilato un intervento diretto a Fordo con commando israeliani protetti da copertura aerea. Gli esperti sono scettici in proposito.

Tra l’altro, non è detto che gli sviluppi debbano arrivare sul fronte militare. I bombardamenti israeliani negli ultimi giorni hanno colpito soprattutto infrastrutture energetiche ed edifici governativi legati alla sicurezza interna, tra le quali un’importante base dei Basij nella provincia di Esfahan. L’organizzazione paramilitare, affiliata alle Guardie Rivoluzionari Islamiche o Pasdaran, è responsabile dell’ordine interno: è a questa struttura che è toccato reprimere le rivolte del 1999, 2009 e 2022. Un bombardamento israeliano ha colpito anche la base del gruppo Shahid Meisami, che nel 2020 è stato accusato dagli Stati Uniti di aver prodotto alcuni agenti chimici utilizzati nel 2009 per la soppressione della rivolta interna. Ieri, infine, un nuovo attacco israeliano ha distrutto il quartier generale delle forze di sicurezza interna a Teheran. È chiaro che Israele sta lavorando anche su questo fronte, neutralizzando la capacità di reazione delle forze di polizia nel caso di una nuova, possibile rivolta interna.

La Tv pubblica iraniana ha invitato i cittadini a fare fronte compatto, fornendo tutte le notizie utili per individuare le cellule interne del Mossad che hanno permesso la decapitazione dei vertici dell’esercito e dei consiglieri più vicini all’Ayatollah. Gli iraniani hanno ricevuto anche l’invito a segnalare tutti coloro che sui social postano contenuti che possano abbattere il morale delle forze armate iraniane. Restrizioni sull’accesso a internet sono state annunciate dal ministro delle Comunicazioni fin dal primo giorno di guerra. Subito dopo è arrivato l’invito a cancellare l’applicazione WhatsApp dai propri cellulari. Di sicuro, cogliere Teheran di sorpresa sul fronte interno non sarà una passeggiata.
Il presidente Trump, come ultima chance, lascia formalmente aperto il canale diplomatico. Con una clausola pesantissima per l’Iran: resa incondizionata. Sarà dura: Khamenei è apparso in forma smagliante alla televisione iraniana promettendo danni irreparabili nell’eventualità di un attacco americano. Qualunque cosa accada nelle prossime ore, gli sviluppi per la guerra saranno decisivi.


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