Cultura & Spettacolo

Ritratto d’autrice, Chiara Francini: la resistenza del talento

di Nicola Santini -


Ritratto d’autrice, Chiara Francini: la resistenza del talento

Attrice, scrittrice, conduttrice, intellettuale. Di Chiara Francini si può dire tutto fuorché che non abbia fatto strada. E che non continui a farla. Perché mentre il suo “Forte e Chiara” ha spopolato in tv e “Coppia aperta quasi spalancata” ha fatto il tutto esaurito nei teatri italiani, la Francini colpisce ancora, stavolta in libreria, con un romanzo che è già un piccolo caso editoriale: Le querce non fanno limoni (Rizzoli).

A pochi giorni dall’uscita ha già scalato le classifiche e raggiunto la terza ristampa, portando in copertina non solo il suo nome, ma anche un nuovo modo – personale, intenso, colto – di raccontare le radici del nostro Paese. Chiara Francini non si limita a scrivere un romanzo: firma un’opera che è al tempo stesso epica e intima, corale e profondamente personale. E lo fa con una padronanza narrativa sorprendente, che conferma come il suo talento non sia mai stato confinato a un solo linguaggio espressivo.

Ambientato tra Firenze e Campi Bisenzio, il libro attraversa cinquant’anni di storia italiana, dal secondo dopoguerra agli anni di piombo, raccontando un’Italia che resiste, che ama, che piange e che si rialza. Protagonista assoluta è Delia, ex partigiana, donna straordinaria nella sua quotidianità, nel suo dolore, nella sua lotta per la dignità. Una figura che diventa simbolo, ma che resta profondamente concreta: non una santa né un’eroina, ma una madre, una combattente, una donna che ha visto l’orrore e ha scelto di costruire invece di distruggere. Intorno a lei si muove un’umanità intera: Irma, Mauro, Angela, Carlo, Sandro, Lettèria, Gigione. Un mosaico di vite intrecciate che si raccontano come in un grande affresco, attraverso voci, dialetti, silenzi e abbracci mancati.

Francini costruisce un universo letterario dove ogni personaggio ha una sua lingua, una sua luce, una sua ombra. Dove il privato e il collettivo si confondono, dove i dolori individuali diventano metafora di una nazione intera che cerca, sbaglia, cresce, si ferma e poi riparte.

Il Cantuccio, rifugio concreto e insieme ideale, è il centro gravitazionale della narrazione: è lì che si cucina, si litiga, si aspetta, si ama e si custodisce la memoria. Il luogo diventa personaggio, contenitore di anime, teatro di passaggi e di ritorni, simbolo di un’Italia che resiste non solo nelle piazze ma anche nei gesti semplici, nelle abitudini tramandate, nelle parole taciute per pudore o per saggezza. Con Le querce non fanno limoni, Francini compie un salto qualitativo evidente anche per i più scettici. La scrittura è matura, cesellata, ricca di ritmo e profondità. Non c’è traccia di autocompiacimento né di una voce che voglia stupire a ogni costo. Al contrario, si respira l’urgenza di raccontare, la necessità di dare un volto e un nome alle ferite e ai sogni di una generazione – anzi, di più generazioni – che hanno fatto dell’Italia ciò che è oggi.

Il successo del romanzo non è solo di pubblico ma anche di critica, ed è la conferma che Chiara Francini appartiene a quella rara categoria di artisti che sanno maneggiare con naturalezza linguaggi diversi, senza mai perdere credibilità. È il frutto di un lavoro lungo, silenzioso, spesso in salita, che parte da anni di palcoscenico, attraversa la televisione e il cinema, e oggi trova nuova forza nella parola scritta.


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