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Economia

Cultura e business: così la cucina italiana nel patrimonio Unesco

L'annuncio che può far prendere il volo a una filiera che vale più di 700 miliardi

di Giovanni Vasso -


Con la cultura non solo si mangia (benissimo) ma ci si può pure arricchire, eccome: la cucina italiana è entrata a far parte nella sua interezza del patrimonio mondiale Unesco. E l’attenzione del mondo, mai come adesso, sarà puntata proprio sull’Italia. Che può legittimamente ambire a moltiplicare i suoi affari. Dall’export fino al turismo. A patto che venga rispettata l’unico (e impegnativo) requisito che la grande cultura enogastronomica italiana s’è imposta nel corso del tempo: eccellenza.

La cucina italiana nel patrimonio Unesco: l’annuncio

La grande festa è iniziata ieri mattina, quando è arrivato l’annuncio. È proseguita per tutta la giornata. Con un carosello di lanci stampa, di applausi, di rivendicazioni di paternità. La vittoria, come al solito, di papà (e di mamme) ne ha sempre tantissimi. Per l’occasione, pure il Colosseo s’è messo il vestito buono. E in serata Giorgia Meloni ha raggiunto l’Anfiteatro Flavio proprio per celebrare l’importantissimo riconoscimento tributato alla cucina italiana dall’Unesco. Proprio la premier aveva accolto la notizia con grande soddisfazione: “Siamo i primi al mondo ad ottenere questo riconoscimento, che onora quello che siamo e la nostra identità. Perché per noi italiani la cucina non è solo cibo o un insieme di ricette. È molto di più: è cultura, tradizione, lavoro, ricchezza”. Ma è proprio così? Sì.

Piatto ricco

Piatto ricco, anzi ricchissimo. Coldiretti riferisce che oggi la cucina italiana nel mondo vale qualcosa come 251 miliardi di euro. E presenta un margine di crescita, solo nel 2025, pari al 5%. Allargando ancora di più la visuale, il valore dell’agroalimentare italiano risulta ancora più grande. Già, perché secondo i numeri snocciolati dagli stessi agricoltori al The European House Ambrosetti, la filiera allargata dell’agroalimentare genera valore per 707 miliardi di euro.1 e dà lavoro a quattro milioni di persone. Complessivamente le cifre parlano di 700mila imprese agricole, più di 70mila industrie conserviere e alimentari, oltre 330mila tra ristoranti e pizzerie e 230mila punti vendita sparsi per tutto lo Stivale.

Un tesoro di tradizione da tutelare

Il patrimonio Dop e Igp su cui si fonda la cucina italiana premiata dall’Unesco, è vastissimo: ci sono 331 prodotti tutelati a cui, come riferisce Ismea, vanno aggiunti 530 vini e 36 spiriti. Il valore dell’agroalimentare, sul fronte dell’export, è a dir poco imponente. Nel 2024 c’è stato il record storico da 69,1 miliardi. Che, presto, potrebbe essere battuto. Le proiezioni, difatti, ritengono probabile alzare l’asticella fino a 100 miliardi. E pensare che solo dieci anni fa, nel 2015, il valore delle esportazioni agroalimentari italiane non andava oltre i 37 miliardi. Il cibo è cultura e la cultura fa fatturare. E come un domino tocca pure altri comparti, non solo l’agricoltura. Per esempio il turismo. Quello gastronomico è una realtà che valeva nel 2024 qualcosa come 40,1 miliardi di euro.

Non solo agricoltura, chi ne beneficia

Adesso, secondo l’analisi di Fiepet-Confesercenti, è plausibile aspettarsi un’ulteriore impennata. Che potrebbe portare in Italia fino a 18 milioni di turisti (stranieri) in più in due anni, per un aumento stimato tra il 6 e l’8 per cento. Insomma, il riconoscimento Unesco alla cucina italiana potrà rappresentare un moltiplicatore in grado di esprimere effetti più che positivi sull’intera economia nazionale. E potrà far bene anche alla ristorazione italiana che ha accusato, a cominciare dal fine dining, alcuni contraccolpi pur continuando a rappresentare un comparto capace di fatturare fino a 83 miliardi di euro, secondo Deloitte, dando lavoro a un milione e mezzo di persone.

Il (grave) problema dell’italian sounding

Con la cultura si mangia, benissimo. E ci si arricchisce pure, eccome. Adesso, però, occorre solo stare in guardia. La (grande) cultura italiana dell’agroalimentare è minacciata. No, non da quelli che si credono fighi a parlar male della carbonara o della lasagna della nonna. Ma dai pirati che propongono, sui mercati esteri, prodotti che scimmiottano (senza esserlo) le grandi eccellenze italiane. L’italian sounding costa al sistema nazionale qualcosa come 63 miliardi l’anno (per Ambrosetti). Contrastare i furbetti è fondamentale: e non solo per mantenere il prestigio delle produzioni nazionali. Ma coi dazi, specialmente in America, farlo sarà più difficile.


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