Attualità

Denatalità: come la demografia sta ridisegnando la mappa del potere mondiale

di Giuseppe Terranova -


La denatalità non è più una esclusiva dell’Occidente. Dall’Asia all’Africa, fino all’America Latina aumentano i Paesi in cui lo sviluppo economico, l’urbanizzazione, la scolarizzazione, soprattutto femminile, sono oggi accompagnati da un calo dei neonati e da una crescita dell’aspettativa di vita.

Secondo le Nazioni Unite, due terzi della popolazione mondiale vive in Stati con un tasso di fertilità inferiore alla soglia di sostituzione di 2,1 figli per donna. Entro il 2050 il numero degli over-65 supererà quota 1,6 miliardi, pari a circa il 16% degli abitanti del globo. Assistiamo a una repentina riduzione della forza lavoro che non ha precedenti nella storia, come ha osservato Michael Clemens della George Mason University, dalle colonne del settimanale britannico The Economist.

Dopo il 1300 la popolazione potrebbe tornare a diminuire

Tant’è che, ha notato Nicholas Eberstadt su Foreign Affairs, entro la fine di questo secolo, per la prima volta dalla peste nera del 1300, gli abitanti della Terra potrebbero diminuire anziché crescere. La causa, stavolta, non sarà l’incremento dei decessi, ma la riduzione delle nascite: dal baby boom al baby bust. Saremo ancora chiamati a gestire bombe demografiche localizzate, ma l’incremento della popolazione mondiale è rallentato.

Un cambiamento epocale che avrà profonde implicazioni geopolitiche, economiche e sociali: alterando la base della forza lavoro, le priorità politiche interne e la distribuzione del potere globale attraverso squilibri regionali sempre più marcati. Emblematico il caso della Cina che ha recentemente ceduto all’India il suo storico primato di Paese più popoloso al mondo, sebbene anche la crescita demografica indiana stia rallentando. I dati resi noti dall’ONU indicano che nel 2023 l’India ha raggiunto 1,428 miliardi di abitanti contro 1,425 miliardi della Cina, che ha registrato il primo arretramento della sua popolazione dal Grando balzo in avanti imposto da Mao Zedong nel 1961.

Non meno sorprendenti le dinamiche demografiche del continente africano che non rappresenta un’eccezione nel trend globale di rallentamento dell’aumento della popolazione. L’Africa sembra essersi avviata da tempo su una traiettoria di contenimento della crescita demografica. Le previsioni allarmistiche, di malthusiana memoria, di un incremento esponenziale dei suoi abitanti dagli attuali 1,4 miliardi a 4 miliardi entro il 2100 non sono supportate dai nuovi dati a disposizione della comunità scientifica internazionale.

Si stima che la popolazione dell’Africa subsahariana potrebbe raggiungere il picco già nel 2060, 40 anni prima di quanto previsto dalle stime delle Nazioni Unite all’inizio del Terzo Millennio. Sebbene gli abitanti dell’Africa continuino a crescere, il suo tasso di fertilità sta diminuendo più rapidamente del previsto, rispecchiando una tendenza osservata nell’Asia orientale grazie al recente sviluppo sociale ed economico. I Paesi del Maghreb sono stati protagonisti del più repentino declino della natalità in Africa degli ultimi 70 anni: in Algeria, Libia, Marocco e Tunisia si è passati da una media di sette figli per donna del 1950 agli attuali 2,4. Trend simili si osservano in America Latina. Esemplificativa l’esperienza del Messico, storico bacino di emigrazione verso gli USA, che ha registrato un crollo del tasso di natalità dai 7 figli per donna del 1970 agli attuali 2.

Denatalità: le previsioni sono preoccupanti

Le previsioni statistiche indicano che la natalità continuerà a diminuire in tutto il globo. E rimarrà bassa anche in caso di politiche di sostegno alla famiglia perché la storia della demografia insegna che persino gli interventi normativi più robusti e articolati hanno un impatto lento sui comportamenti riproduttivi di una popolazione. La Francia docet: da inizio Novecento vanta una sofisticata, e ben finanziata, politica bipartisan di incentivo alla natalità, ma non è mai più riuscita a riconquistare la leadership di Paese più popoloso d’Europa persa a fine Ottocento a favore della Germania.

In questa prospettiva, la geopolitica dell’invecchiamento non si gioca soltanto sui numeri, ma anche sulla qualità della sua governance. È uno scenario che pone sfide non meno complesse di quelle prodotte dalla sovrappopolazione: dalla sostenibilità dei sistemi di Welfare alla competizione globale per formare, attrarre, gestire e accogliere risorse umane che scarseggiano, fino alla necessità di investire in tecnologie che aumentino il valore della catena dei sistemi produttivi (es. cloud, industrial internet of things, intelligenza artificiale, manifattura additiva, realtà aumentata, robot, etc.). La demografia diventa destino in assenza di politiche innovative che la governino.

a cura di GIUSEPPE TERRANOVA – Università degli Studi di Messina

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