Attualità

Il disastro la burocrazia e quella tragica profezia della Corte dei Conti

di Redazione -


 

Proviamo a fare un salto indietro di quasi due anni e riportiamo il calendario al 18 ottobre 2021. E’ il giorno in cui la Corte dei Conti, e in particolare la Sezione Centrale di Controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, pubblica la sua Deliberazione n° 16/2021/G che riguarda gli interventi statali per la mitigazione del rischio idrogeologico e che fa seguito ad analogo provvedimento di due anni prima che a sua volta “aveva evidenziato numerose criticità insolute nel meccanismo di funzionamento e di monitoraggio degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, nella governance delle strutture, rilevando, in particolare, l’inefficacia delle misure fino ad allora adottate, testimoniata dalla scarsa capacità di spesa e di realizzazione dei progetti e dalla natura prevalentemente emergenziale degli interventi”. Il corposo documento (sono oltre 140 pagine) guida nel dedalo delle competenze, intreccio che sembra non voler escludere nessuno e che lascia nell’imbarazzo chi si ostina a voler trovare il bandolo della matassa. La cornucopia normativa ha partorito leggi, decreti regolamenti, alcuni dei quali tenuti a battesimo con nomi improbabili come ProteggItalia e CantierAmbiente. ProteggItalia, ad esempio, doveva “programmare unitariamente nel breve e medio periodo le risorse nazionali e comunitarie e coordinare in un quadro nazionale le misure per contrastare il dissesto idrogeologico”. A leggere quel che scrivono i magistrati contabili quel Piano “non ha unificato i criteri e le procedure di spesa; non ha risolto il problema dell’unicità del monitoraggio, né individuato strumenti di pianificazione territoriali efficaci, in grado di attuare una politica di prevenzione e manutenzione”. La Corte spiega che “permane la lentezza nell’adozione sia dei processi decisionali che di quelli attuativi, spesso condizionati da lunghi processi concertativi nazionali e locali”. Le conclusioni non sono rassicuranti perché “l’impianto generale dei finanziamenti, in termini di criteri e strumenti, al di là di agevolazioni ulteriori per i commissari straordinari per il dissesto (maggiori anticipi…) e delle semplificazioni introdotte (es. uso della conferenza dei servizi) non ha prodotto nella realtà un’accelerazione dell’attuazione degli interventi e non ha restituito un quadro integrato delle misure finanziate dai Ministeri coinvolti, fatta eccezione per la protezione civile che opera in regime di emergenza”. Si trattasse mai di una pagella scolastica, non ci sarebbe affatto da stare allegri. Spaventa leggere che “la capacità progettuale delle Regioni, la carenza di profili tecnici unitamente alla scarsa pianificazione del territorio, restano criticità ancora non risolte”. E’ la stessa Corte dei Conti a sobbalzare dalla sedia vedendosi costretta a scrivere che “Fa riflettere che le numerose strutture di indirizzo e gestionali, nel corso del tempo istituite, non sempre adeguatamente differenziate, (strutture di missione, cabine di regia, segreterie tecniche, task force centrali e regionali, etc) non hanno contribuito fino ad oggi in maniera determinante al necessario «cambio di passo» verso una gestione «ordinaria» ed efficace del contrasto al dissesto.” C’è da mettersi paura solo ad elencare le realtà che possono metter bocca sul disastro e sulla gestione dell’emergenza: Dipartimento della Protezione civile, dicastero preposto all’ambiente oggi Ministero per la Transizione Ecologica, quello dell’Interno, quello della Difesa (per i Carabinieri Forestali), quell’altro delle politiche agricole, alimentari e forestali e adesso anche delle relative “sovranità”, Commissari straordinari per il dissesto idrogeologico, Autorità di bacino distrettuali, Agenzia per la coesione territoriale… E, non bastasse, ad ogni nuovo Governo la rivisitazione dei nomi che etichettano le singole Istituzioni, la soppressione di qualcosa e la creazione di qualcos’altro, La babele è garantita dalla difficoltà ad utilizzare i fondi stanziati (per non parlare di quelli del Pnrr), dalle limitate risorse rispetto al fabbisogno, dal caos nello stabilire le priorità (distinguendo l’emergenza e l’urgenza dalle misure di prevenzione e manutenzione), dalla complessità delle procedure e più in particolare dai tempi di progettazione e approvazione, dalla frammentazione dei poteri commissariali in tema di dissesto e dalla persistenza delle relative numerose contabilità speciali, dalla debolezza e dall’assenza di un efficace sistema di governance, da carenze e ritardi nel monitoraggio degli interventi, dalla proliferazione e frammentazione delle piattaforme e dei sistemi informativi… Fermiamoci qui. Dire che si “fa acqua da tutte le parti” sarebbe di cattivo gusto.

Torna alle notizie in home