Esteri

“Kiev vuole la vittoria, poi la pace E non ci dice tutto della guerra”

di Edoardo Sirignano -

PAOLO POLETTI HERMES BAY


“Gli ucraini non ci dicono tutto. C’è qualcosa che non condividono, nel timore di essere messi sotto controllo”. Così il generale Paolo Poletti, tra i maggiori esperti italiani di intelligence, commenta l’episodio del drone abbattuto sopra il Cremlino.

 

Da dove è partito l’attacco?
È presto per dirlo. Possiamo basarci su alcuni elementi obiettivi. Sicuramente il drone non è partito da molto lontano, considerando l’apparecchio che ci hanno descritto e fatto vedere. Si tratta di uno strumento che ha una gettata limitata.

Agenti ucraini o fiancheggiatori i responsabili?
Può essere, così come possono essere stati gruppi ultranazionalisti per spingere il Cremlino a un’azione militare più decisa. Scartiamo, però, l’ipotesi fantasiosa che sia stato Putin per giustificare un’ulteriore escalation.

Dietro l’operazione potrebbe esserci l’intelligence americana ed europea?
Non penso! I rapporti tra intelligence sono molto stretti, ma comincio a dubitare che gli ucraini dicano tutto ad americani ed europei sulle azioni che intendono intraprendere. C’è qualcosa che non condividono nel timore di essere messi sotto controllo. L’Ucraina, oggi, si sente più autonoma, più sicura di sé e quindi tende a nascondere qualcosa. Comincia a tenersi un margine di autonomia in relazione ai propri obiettivi.

Tale modus operandi, intanto, rischia di metterci in seria difficoltà…
Armiamo Kiev per difendere il principio dell’autodeterminazione. Riteniamo che sia legittima una risposta militare a un’aggressione ingiusta. Giuridicamente siamo cobelligeranti. Gli ucraini, però, combattono una guerra sul campo. Noi li sosteniamo, sperando ancora in una soluzione politica, mentre a loro interessa solo vincere. Senza aver battuto la Russia, difficilmente cercheranno una mediazione.

Quali saranno, intanto, le conseguenze di un episodio fino a ieri imprevedibile?
Al di là delle posizioni di Medvedev e del presidente della Duma, che sono estremisti per contratto, ci sono parti dell’establishment russo che si distinguono per la prudenza sull’episodio e sulle conseguenze da trarne.

Perché?
Sono consapevoli della debolezza e della disorganizzazione della macchina militare russa, come rivelato da Prigozin. Tutti restano in attesa della controffensiva ucraina. Vediamo come sarà organizzata e cosa porterà. Mi sembra, comunque, che la strategia di Putin, fino a ora, non abbia portato a grandi risultati. Ecco perché potremmo trovarci in una situazione di non sconfitta e di non vittoria per entrambi gli attori coinvolti nel conflitto.

La minaccia nucleare è dietro l’angolo?
Al momento, direi proprio di no! È troppo alto il rischio che si corre.

L’Europa, comunque, non può farsi trovare impreparata. Deve magari attrezzarsi con un esercito continentale…
Si sta ragionando, da molti anni, sull’argomento. Sarebbe una risposta efficace ed economica. Oggi in Europa ci troviamo otto-dieci armate, ciascuna con i suoi mezzi, i suoi costi. L’interscambiabilità di armamenti, ricambi e quant’altro è nei fatti un problema. Un esercito unico europeo, con un armamento e un equipaggiamento comune, porterebbe, senz’altro, a un risparmio.

Perché allora non si va in questa direzione?
Gli Stati europei, politicamente, sono ancora lontani. Vecchi retaggi fanno sentire il loro peso, tradizioni dure a morire. Per questa ragione, non ci sono passi in avanti. Si preferisce chiudersi sulla visione deterministica della storia e sul contrasto tra chi crede che a spuntarla saranno le democrazie liberali e chi invece democrature come Russia e Cina. Rischiamo, intanto, una marginalizzazione dell’Europa, perché troppo piccola e divisa per contare, sia a livello economico che militare.


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