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L’ex doge Galan accusa: “Sparito un miliardo”

di Ivano Tolettini -


Il giallo del miliardo di euro evaporato nella laguna di Venezia. Possibile? Esiste davvero come tuona il 67enne ex governatore Giancarlo Galan, uno che le cose le sa perché non ha mai parlato a vanvera, che dopo due lustri trascorsi in religioso silenzio pubblico, quando la mannaia della prescrizione ormai ha concluso la sua corsa, ha deciso di uscire allo scoperto con una rivelazione bomba? Che fine ha fatto, se davvero è stato incassato da pochi o molti, sulle dighe mobili del Mose? Chi si è intascato questo enorme tesoro, una maxi-tangente che scritta così è la più grande stecca nella storia della Repubblica, sulla quale peraltro le indagini sono calate da molto tempo? Così dieci anni dopo la “Retata Storica”, che travolse un sistema di potere che guidava una delle regioni, il Veneto, locomotiva del Paese, e che aveva in Forza Italia uno dei suoi consolidati fari politici, a sollevare il velo su questo enorme malaffare è nientemeno che l’ex potentissimo doge serenissimo Galan, che nell’autunno 2004 patteggiò 2 anni e mezzo di reclusione e subì la confisca di 2,6 milioni di euro. L’ex fedele ministro di Silvio Berlusconi torna alla ribalta dopo un lungo tacere con una intervista al Corriere della Sera che ha fatto sobbalzare molte persone. Non solo perché Galan ha ammesso di vivere in sostanziale povertà (“Vivo solo in una vecchia casa di famiglia nel bosco sui Colli Berici a Vicenza, sono senza soldi, mia moglie mi ha lasciato ed ho pensato al suicidio”), ma perché sottolinea che i conti dello scandalo Mose che travolse Venezia agli occhi del mondo, esploso il 4 giugno 2014 quando scattarono le manette, non tornano proprio.
“Nella gestione del Mose manca all’appello un miliardo: è la differenza tra quanto è stato dato in 40 anni al Consorzio e quanto risulta poi effettivamente speso. Ammettiamo anche che io, il grande colpevole, abbia incassato i 5 milioni di cui mi accusano. E gli altri 995 dove sono andati?” Già, che fine hanno fatto? “Eh, proprio su questo doveva indagare la procura. Oltre il 90% dell’illecito non ha ancora un nome”, aggiunge Galan, il quale sollecita la Procura della Repubblica di Venezia ad indagare ancora per delineare quel “sistema Mose” del malaffare sul quale è germogliato il sistema idraulico che ha comunque messo in sicurezza la città lagunare. Le dichiarazioni di Galan non sono certo passate sotto silenzio, anche perché sullo sfondo rimbombavano quelle del manager della Mantovani Piergiorgio Baita, cui vennero inflitti 2 anni di reclusione, che a partire dal 28 febbraio 2013, quando venne arrestato, aveva contribuito a scoperchiare l’intreccio perverso affari e politica che lo indusse a spiegare che “tutti insieme noi costruttori abbiamo girato al consorzio 100 milioni l’anno”. In un decennio, dunque, era stato consegnato in maniera illecita quel miliardo di euro cui fa riferimento l’ex doge di FI. Come? Anche in incontri lungo la Padova-Venezia o Padova-Bolgogna, oppure durante pranzi e cene nei ristoranti top della laguna o della terraferma, dove le tangenti oliavano il sistema come scaturì dall’inchiesta cui lavorarono per anni i Pm Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, coordinati dal Procuratore aggiunto Carlo Nordio, attuale Guardasigilli del governo Meloni. La cuspide del meccanismo era il Consorzio Venezia Nuova, da tempo commissariato, con al vertice l’ingegnere Giovanni Mazzacurati, che in qualità di presidente dal 2005 al 2013, e prima come direttore generale aveva officiato un rito scandito anche dai fondi neri costituiti all’estero da alcuni imprenditori. Quel Consorzio costituito ancora all’inizio degli anni Ottanta e che gestì la realizzazione del complesso meccanismo di salvaguardia di Venezia costato alle casse pubbliche ed europee almeno 6,2 miliardi di euro. Ebbene, a star dietro a quello che rivela Giancarlo Galan, una fetta rilevantissima, appunto 1 miliardo di euro, sarebbe stato destinato a foraggiare partiti, politici di destra e sinistra, portaborse e intermediari di grandi aziende e cooperative rosse seduti al grande banchetto dello scandalo. “Nella storia del malaffare d’Italia – afferma al Corriere della Sera Galan, che per quindici anni ha guidato il Veneto – rimane questo vuoto enorme. Dico che nella costituzione del Consorzio era molto esplicativa: ogni componente era facilmente riconducibile a un partito”. Dalla Prima alla Seconda Repubblica si era ballato lo stesso valzer, della corruzione.


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