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Mou, rabbia e solitudine nella notte stregata di Budapest

di Giovanni Vasso -

JOSE' MOURINHO


E’ amaro, troppo amaro, il brusco risveglio della Roma nella notte stregata di Budapest. Il sogno Europa League s’è trasformato in un incubo che ha riportato, alla mente dei tifosi giallorossi, la maledizione di quell’altra, antica, finale perduta ai rigori tanti anni fa, quella contro il Liverpool ai tempi di Ciccio Graziani e Agostino Di Bartolomei. Una gara decisa, in ogni senso, dalla Roma. Prima Dybala centra il vantaggio nel primo tempo, nel secondo invece un rimpallo sfortunato causa l’autorete di Mancini. Passano i minuti e all’81esimo, il tocco di mano, in area del Siviglia, del brasiliano Fernando, viene snobbato dall’arbitro inglese Anthony Taylor e dal Var. Niente rigore. Si scivola ai supplementari, poi ai rigori. La roulette è fatale alla Roma. Ma qualcosa s’era già rotto.

A raccogliere i cocci, José Mourinho. Il tecnico portoghese voleva vincere. E non ci sta a doversi arrendere davanti a quelli che ritiene dei torti indigeribili. Dopo aver consolato i suoi, Mou si presenta in conferenza stampa.

“Il gruppo ha dato tutto. O uscivamo con la coppa o uscivamo morti. Siamo morti fisicamente e mentalmente. Il risultato è ingiusto, con tanti episodi di cui parlare. Eravamo stanchi, possiamo perdere una partita di calcio, ho vinto 5 finali europee e ho perso questa ma non sono mai tornato a casa così orgoglioso”.

Quindi ha attaccato frontalmente l’arbitraggio: “L’arbitro sembrava spagnolo, abbiamo dato tutto. Tanti gialli, ma Lamela doveva prendere il secondo giallo, non l’ha preso e poi ha segnato uno dei rigori”. Tanta, tantissima rabbia. Che esploderà, poi, nel garage della Puskas Arena dove Mou ha incrociato la squadra arbitrale. “Sei una disgrazia, complimenti”, ha sibilato a Taylor mentre il designatore Rosetti tentava di smorzare i toni.

Il futuro è ora il tema. Mou resterà. Ma con la società è gelo. “Lunedì vado in vacanza, se avremo tempo di parlare prima di lunedì decideremo, altrimenti lo faremo dopo. Io devo lottare per questi ragazzi, non posso dire oggettivamente che rimango”, ha spiegato. Quindi ha aggiunto: “Sono un uomo serio. Ho detto alla proprietà che appena qualche club mi avesse contattato sarebbero stati i primi a saperlo. A dicembre ho parlato con il club perché avevo la situazione legata alla panchina del Portogallo. Da quel momento non ci ho riparlato, perché non c’è stato più nessun contatto. Ho ancora un anno di contratto con la Roma, la situazione è questa”. In tralice, l’amarezza di chi si sente solo e chiede alla società di assumersi le sue responsabilità. Rabbia, tanta. Solitudine, parecchia. È amaro, troppo amaro, il brusco risveglio della Roma nella notte stregata di Budapest.


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