Oggi il voto finale ma l'ok decisivo non arriverà da Montecitorio ma da Bruxelles
Un lungo viaggio, al termine della notte (infinita), della Manovra. Il Bilancio è approdato, non senza polemiche, alla Camera già domenica. E ieri, non senza polemiche, è cominciata l’ultima discussione in Aula. Tra l’apposizione della fiducia e una valanga di emendamenti e ordini del giorno. Poco più di mille proposte a Montecitorio hanno incendiato gli animi tra maggioranza e opposizione. Mentre Giorgetti, esausto come un Bardamu di ritorno dal fronte, non aspettava altro che il sorgere dell’alba del giorno dei giorni. Stamattina, a partire dalle undici, ci saranno le dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari alla Camera. Poi, entro le tredici, a ora di pranzo e a favor di telegiornali, la manovra sarà votata. E tutto lascia intendere che sarà approvata. Del resto a nessuno conviene davvero “riformare” Giorgetti né lasciare che il Paese finisca sulla graticola dell’esercizio provvisorio.
La lunga notte della Manovra
Ciò, però, non vuol dire che la notte non sia stata lunga, anzi lunghissima. E densa, anzi densissima di polemiche. Quello che accade da un paio di mesi a questa parte s’è condensato nelle ultime ore passate a Montecitorio. Le opposizioni che denunciano lo svilimento del ruolo del Parlamento, la maggioranza che tiene botta e replica agli avversari mentre Lega e Forza Italia sgomitano per gli ultimi dettagli, per sottoscrivere le misure di bandiera mentre, ormai, il documento di bilancio è (già) saturo di micronorme. Che poco o nulla c’entrerebbero con la Manovra. Ma tant’è. Alcune di queste, anzi, sembrano quasi benedette da cielo. Come l’inserimento del voto in presenza per gli italiani all’estero. Era ora, dopo tutti gli scandali che hanno riguardato l’istituto del voto per corrispondenza.
Al gran ballo degli ordini del giorno
In Aula, intanto, sono arrivati 790 emendamenti e ben 250 ordini del giorno. Una via, questa, più breve e forse più efficace per strappare qualcosa all’esausto, ma sempre occhiuto e sparagnino, Giorgetti. Forza Italia ha fatto proposte per rafforzare i poteri degli amministratori di condominio e per tutelare i parrucchieri. Una scivolata in territorio leghista. Ma sui temi cardine è arrivata, però, la sottolineatura di Antonio Tajani: “Dobbiamo continuare con la riduzione della pressione fiscale, dobbiamo allargare la base del taglio Irpef almeno a 60mila euro e cercare di avere stipendi più ricchi”. Domani, non oggi. E ancora: “Quest’anno abbiamo lavorato su tutto quello che è salario, continueremo a lavorare su questo aiutato le famiglie, il ceto medio e le imprese”. Infine la carezza agli imprenditori: “Gli aiuti alle imprese che abbiamo fatto quest’anno sono fondamentali per creare occupazione e crescita: questo è quello che abbiamo fatto e continueremo a fare in sintonia con quello che pensiamo come Forza Italia”. Il Carroccio, da parte sua, ha proposto i suoi grandi classici: ripristino della flat tax incrementale per il 2026 e la sospensione “compatibilmente coi vincoli di finanza pubblica” dell’incremento dei requisiti imposti per l’età pensionabile previsti dal 2027 in maniera progressiva.
L’opposizione si sparacchia addosso
Nella lunga notte della Manovra le (Cinque) Stelle non restano mica a guardare. E pure loro hanno scelto la via rapida e sicura degli ordini del giorno. Contro il riarmo, a favore della sanità. Non serve che passino al vaglio della Camera, l’importante è che passi nell’opinione pubblica. Il Pd, invece, si picca di difendere il diritto parlamentare e critica, con veemenza, il fatto che si siano ridotte le aule a fungere da “passacarte”. I dem ricordano che fu proprio Meloni, nel 2019, a dire che “non c’è democrazia parlamentare quando il Parlamento non può discutere la Legge di Bilancio”. Ammettendo, in buona sostanza, che con loro e il M5s al governo era, più o meno, la stessa storia di velocità e speditezza. Sic transit gloria mundi.
Il voto decisivo arriverà da Bruxelles
La notte della manovra è passata e oggi viaggia spedita verso l’approvazione. Ma il viaggio, quello non è mica finito. Anzi è appena cominciato. Questo bilancio, passato da 18,7 a 22 miliardi di euro, è il più importante, politicamente parlando, per il centrodestra e in particolare per Giorgia Meloni. Al culmine del mandato, la premier e Giorgetti hanno deciso di dare la sterzata che potrebbe riassestare l’Italia facendola uscire dai rigori del Patto di Stabilità. Il voto più importante, dunque, arriverà a Bruxelles. E non prima della primavera. Solo l’ok della Commissione, e la reazione dei mercati, diranno se il gioco, su cui il centrodestra ha investito politicamente tanto, sarà valso la candela.