Referendum, se il Pd vuole abrogare le riforme del Pd…
C’è un aspetto decisamente paradossale che balza all’occhio mentre si entra nel vivo della campagna per i referendum: il Pd, pur di inseguire la Cgil sul tema del lavoro, propone di abrogare una sua stessa riforma. Parliamo del Jobs Act, voluto e trionfalmente salutato da Matteo Renzi quando occupava sia la poltrona a Palazzo Chigi che quella al Nazareno. Da allora sono passati dieci anni e molte cose sono cambiate, a partire dal fatto che Renzi ha fondato un suo movimento e che il Pd ha spostato – o almeno ci prova – il proprio asse maggiormente a sinistra, allontanandosi dal campo riformista per provare ad approdare in quello progressista. Ma se in politica dieci anni rappresentano un’era, sul fronte normativo si tratta di un lasso temporale non poi così lungo, tanto più per un settore come quello del mercato del lavoro, nel quale certezza e stabilità delle regole rappresentano un valore aggiunto. Senza contare che il rischio di un autogol per Elly Schlein è dietro l’angolo, sia perché il raggiungimento del quorum necessario a far sì che il referendum sia valido è un obiettivo tutt’altro che scontato, anzi, al momento apparentemente fuori portata, sia perché in un contesto politico già estremamente polarizzato radicalizzare ulteriormente il posizionamento del Pd espone al partito a una perdita di consensi. L’accentuata dicotomia destra-sinistra, orgogliosamente fomentata proprio in casa dei dem, sposta infatti gli equilibri elettorali sempre più nel campo moderato, quello che Renzi e Calenda provano faticosamente ad occupare. Nell’attuale quadro politico sembra, dunque, essere tanto più vera l’abusata affermazione secondo la quale “le elezioni si vincono al centro”. Ecco perché correre per mettersi in scia a Maurizio Landini, oltretutto su tematiche, se vogliamo, anche abbastanza marginali del mondo del lavoro, rischia di rivelarsi una strategia perdente per un partito come il Pd che dovrebbe invece cercare di garantire la coabitazione pacifica delle varie anime che lo compongono. Voler abrogare leggi o parte di esse immaginate e votate da un Pd che all’epoca, benché diverso rispetto a quello attuale, sfiorava il 41% dei consensi alle elezioni europee, sembra quindi più che una stonatura un vero e proprio suicidio politico. La disperata corsa di Elly Schlein per porsi sempre più a sinistra in un contesto che invece tende a spingere verso il centro, anche a costo di sconfessare quanto fatto in passato da suo stesso partito.
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