Il dispositivo della sentenza che nel dicembre scorso ha assolto l'allora ministro dell'Interno
Il 20 dicembre scorso, nel processo Open Arms, i giudici del tribunale di Palermo assolsero Matteo Salvini dalle accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio perché si convinsero che l’Italia non aveva l’obbligo di assegnare “un porto sicuro” alla nave della ong spagnola nel 2019.
Il deposito della sentenza
Ieri il deposito della sentenza che fa dire all’avvocata Giulia Bongiorno: “La sentenza, tecnicamente ineccepibile, riconosce la assoluta correttezza della condotta del ministro. Non esisteva infatti alcun obbligo di far sbarcare Open Arms in Italia. La sentenza va anche oltre e precisa che chi ha sbagliato è stata proprio Open Arms nel non cercare altre soluzioni”.
Ora, i pm di Palermo che istruirono il processo incontreranno il procuratore Maurizio de Lucia per valutare l’appello alla sentenza.
L’intervento della Spagna
Il tribunale definisce “artificiosa” la chiamata in causa dell’Italia. Il centro di soccorso marittimo della Spagna aveva operato un “primo contatto” per orientare l’Open Arms con i migranti soccorsi a individuare gli Stati responsabili, prima la Tunisia e poi Malta. Malta declinò la propria responsabilità e chiaramente indicò la Spagna (Stato di bandiera dell’imbarcazione) per “assistere il natante nella prosecuzione delle operazioni”.
Cosa che la Spagna fece, “esortando la barca a recarsi ad Algeciras e poi nel più vicino porto spagnolo rispetto alla sua posizione (Maiorca)”. Disponendo peraltro pure l’invio della nave militare Audaz per prelevare i migranti soccorsi e condurli in Spagna.
Nessuna spinta verso la Libia
Cade anche l’ipotesi che l’azione di Salvini abbia spinto l’Open Arms verso “Paesi non sicuri”, “verso una nazione in cui sussista un ragionevole rischio o un pregiudizio alla propria vita, alla libertà, ovvero all’integrità psicofisica”. “Lo Stato italiano – scrivono i giudici – con il decreto dell’1 agosto 2019 si era limitato ad interdire l’accesso ad Open Arms (in quel momento in acque internazionali ad oltre 50 miglia dalle coste italiane) nelle acque territoriali, senza respingerla verso Paesi nei quali i migranti avrebbero corso il rischio di subire i pregiudizi alla propria vita“, cioè verso la Libia.