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LIBERALMENTE CORRETTO – Cesare, il baratto e le guerre che bruciano i nostri soldi

di Redazione -


In illo tempore vigeva il baratto. Nessuno dei due contraenti aveva un vantaggio aprioristico sull’altro. Successivamente la pecunia avvantaggiò l’allevatore di pecore, che poteva scambiare il suo pecus con qualsiasi merce, mentre gli altri dovevano ricorrere lui per le loro contrattazioni. Cesare si avvantaggiò ulteriormente, acquisendo il dominio dei mezzi di scambio per il solo fatto di far stampare la sua effigie sulle monete, che possedevano un valor e intrinseco, corrispondente alla quantità e qualità del metallo utilizzato. L’ulteriore vantaggio dei successori di Cesare fu quello di conferire alle monete un valore autoritativo, superiore a quello intrinseco. Dopodiché, con l’introduzione della carta moneta, il valore intrinseco svanì del tutto. A quel punto il denaro cartaceo divenne una mera promessa, con la quale l’emittente si obbligava alla conversione in oro su richiesta del possessore. Cessata la convertibilità in oro, venne meno anche la promessa e il valore di scambio della carta dipese dalla garanzia di stabilità politica. Si è passati da Cesare che consegna, a Cesare che promette, e poi a Cesare che si limita a garantire sé stesso. Oggi si è passati alla fase in cui Cesare è succube della finanza, che si garantisce da sola.

Negli ultimi anni, il percorso di dematerializzazione e rarefazione del valore finanziario ha avuto una vertiginosa accelerazione, da quando: a) la stamperia della carta moneta è autonomamente gestita da ignoti finanzieri (BCE e Federal Reserve), sui quali non grava alcuna responsabilità politica; b) sono stati liberalizzati tutti i possibili prodotti “derivati”, che hanno sgravato la responsabilità economica del finanziere. Cosicché i “venditori di sogni”, politicamente ed economicamente irresponsabili, sono divenuti più potenti di Cesare, mentre le dinamiche finanziarie si sono allontanate dal corretto funzionamento del gioco di domanda e offerta. Nei “mercati” finanziari l’offerta – riguardante beni immateriali futuri, offerta di mera “speranza” – non è subordinata alla domanda, ma si veste d’autorità; basti pensare al “corso legale” della moneta o all’obbligo di accendere il conto corrente per tutte le transazioni. In secondo luogo, la responsabilità economica dell’emittente è quasi sempre dispersa nella notte del tempo e nello spazio infinito delle mille derivazioni. Il titolo, giammai convertibile in oro, all’occorrenza è convertibile in altro titolo a scadenza postergata. E di rinvio in rinvio si può arrivare al sine die. Al contempo la responsabilità di A è legata a quella di B, C, D; di derivazione in derivazione si perviene all’irresponsabilità assoluta. Né le “indipendenti” agenzie di rating riescono a garantire alcunché.

Nel mercato dei beni reali, tutti i possibili conflitti d’interesse sono attentamente vagliati; nei mercati finanziari, nessuno si preoccupa delle possibili cointeressenze tra valutatore e valutato. Le agenzie emettono verdetti giusti per definizione, perfino quando fallisce la società che fino al giorno prima si fregiava della tripla A. In quel mondo di carta, tutti possono essere soci di tutti e condividere le spoglie dei valori virtuali, creati dal nulla e garantiti dal nulla. L’anomalia più grande risiede comunque nella malsana commistione politica-finanza. Il potere politico, che ha ceduto la sovranità monetaria, ha ceduto in verità la pienezza della sua autonomia originaria; rinunciando a regolare le “derivazioni”, ha conferito ai venditori di sogni un poderoso potere di ricatto; divenuto succube del famigerato spread, si è vincolato alle manovre delle agenzie di rating. E cosa accade quando non comanda Cesare, bensì la moglie, nelle segrete stanze? Le immense montagne di carta, gestite dalla moglie di Cesare sono destinate a sgretolarsi in guisa di catena di S. Antonio. Le guerre diventano allora il mezzo più efficace per annullare le fallaci promesse dei c.d. “mercati” e bruciare la spazzatura.


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