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Dossier Ai

Sfida a Trump: la Commissione Ue apre un’indagine su Google

Guerra (digitale) tra Europa e Usa: Il faro da Bruxelles sull'uso dell'Ai, la rabbia di Mountain View

di Giovanni Vasso -


Non bussate, siamo agnostici: la Commissione Ue ha aperto un’indagine su Google e sui contenuti della “sua” intelligenza artificiale. Mountain View è solo l’ultima, in ordine cronologico, delle Big Tech a ricevere una raccomandata da Bruxelles. Prima era toccato a Meta, con l’istruttoria aperta sull’Ai di Whatsapp. Poi a X, con la multa da 120 milioni di euro che ha fatto ritrovare a Musk lo smalto polemico dei tempi belli: “L’Ue va abolita”. Adesso tocca a Google.

Le basi (fondate) dell’indagine della Commissione Ue su Google

E, se possibile, questa è l’indagine più scottante. Perché impatta sulla questione del diritto d’autore. Che è la pietra angolare di ogni dibattito mai insorto da quando internet ha smesso di essere una rete per militari e nerd ma è diventato un luogo frequentato quanto, se non più, delle agorà fisiche. Bruxelles, dopo anni di tentennamenti, ha finalmente ascoltato la voce degli editori. Che si lamentano, ormai da tempo. Google, con l’intelligenza artificiale, saccheggerebbe i contenuti protetti (in teoria…) dalle norme. E, per di più, lo farebbe non solo senza neanche corrispondere adeguati indennizzi ma addirittura chiedere neppure permesso. Ma c’è di più.

L’Ai prosciuga i clic

Già, perché con le modalità Ai utilizzate dal motore di ricerca, s’è abbattuto il traffico sui siti e le piattaforme degli editori, a cominciare da quelli dei giornali. Tanti utenti, difatti, si accontentano del riassunto che l’intelligenza artificiale offre, senza nemmeno specificare le fonti, rispondendo alla richiesta dell’utente. Il peso che ha Google sul mercato digitale è immenso. E già condiziona con il Seo e gli algoritmi il lavoro delle piattaforme digitali, drenando gran parte (insieme alle altre major digitali) degli incassi pubblicitari. Insomma, il tema c’è. È importante perché impatta direttamente sulla qualità dell’informazione in un’epoca in cui i governi lottano, senza sosta, contro fake e disinformatija oltre che sul futuro di un comparto che, pure economicamente, ha un peso non irrilevante.

Sullo sfondo lo scontro Usa-Ue

Il fatto vero, però, è ancora un altro. E riguarda il tempismo utilizzato dall’Ue per stangare, o per prepararsi a farlo, Big Tech. Prima Meta, poi X e quindi Google. Guarda caso, a distanza di poche settimane dall’offerta americana: cancellate Dsa e Dma, ossia le normative digitali di cui s’è dotata l’Europa, e vi abbassiamo i dazi. Una proposta che Teresa Ribera, vicepresidente della Commissione, aveva bollato come “un ricatto”. Inaccettabile. Ed è proprio Ribera, che peraltro appartiene al gruppo dei socialisti, a detenere nell’esecutivo Ursula bis la delega all’Antitrust. Difficile, se non impossibile, non vederci dell’impegno nel ritrovato zelo europeo contro i grandi padroni del vapore digitale americano.

“Non guardiamo la provenienza delle aziende”

Ovviamente, a Bruxelles non possono di certo rivendicare l’attivismo con nessun tipo di questione. Gli Usa, ohibò, son pur sempre un alleato. Anzi l’alleato. E, per soprammercato, è su infrastrutture digitali americane che girano i sistemi alla base della stessa Ue. Eppure, le parole pronunciate ieri dalla portavoce Ue Arianna Podestà non hanno certo il sapore della conciliazione: “Quello che vogliamo dimostrare con la decisione di oggi è che, come sempre, prendiamo decisioni basate sui meriti dei casi specifici. E questo vale per le norme antitrust, per il Digital Services Act, per l’applicazione del Digital Markets Act. Vale in tutti i casi. L’Ue è agnostica rispetto al Paese di origine dell’azienda coinvolta”. Chissà se quest’ultimo inciso vale pure per TikTok.

Google l’ha presa male

Le parole di Podestà sono arrivate a distanza di qualche giorno dal botta e risposta con Musk (e Trump). “Decidiamo noi”, hanno tuonato mai così orgogliosi di sé i funzionari Ue. Che, dopo aver letto come, secondo il tycoon, “l’Ue” debba “essere abolita e la sovranità restituita ai singoli Paesi”, hanno tappezzato il web e i social (pure X, anzi soprattutto X) con la bandiera azzurrostellata di Bruxelles. Di certo c’è solo che la Casa Bianca non l’avrà presa per niente bene. E si capisce pure dalla piccatissima reazione giunta da Mountain View: “Questa indagine – ha detto un portavoce del colosso – rischia di ostacolare l’innovazione in un mercato sempre più competitivo. Gli europei meritano di poter beneficiare delle tecnologie più avanzate e, per questo motivo, continueremo a lavorare a stretto contatto con il settore dell’informazione e quello creativo per accompagnarli nella transizione verso l’era dell’intelligenza artificiale”.

Frasi che si può permettere solo chi sa di avere le spalle più che coperte. La scelta di aprire un’indagine su Google può pregiudicare, una volta di più, i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. Ma c’è pure da ribadire come la questione del diritto d’autore non sia più rimandabile. Perché l’ascesa di internet s’è basata su un assunto che è diventato una barzelletta. Il copyright come un muro da abbattere perché tutti si possano arricchire (culturalmente). Mentre chi si è arricchito, davvero, è da ricercare tra le poche, pochissime, aziende che tengono in mano il mercato.


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