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ENOGASTRONOMIA – Valle Cervo: storie di pietra e di grandi piatti

di Redazione -


di LORENZA SEBASTIANI

La Valle Cervo, in provincia di Biella, è una valle incastonata fra la Svizzera e la Francia che prende il nome dal torrente che l’attraversa e che ha visto la vita dei suoi abitanti condizionata da un evento di 30 milioni di anni fa. Infatti, la morfologia della Valle è caratterizzata dalla presenza di una formazione rocciosa, il “Plutone della Valle del Cervo”, formatasi a seguito dell’eruzione di un vulcano sotterraneo e che è risalita a seguito della collisione tra Europa e Africa. La presenza di questa pietra ha fatto acquisire agli uomini della Valle una capacità nella sua lavorazione che li ha portati a essere richiesti in giro per il mondo. Così la Valle, in determinati periodi dell’anno, si svuotava di tutti gli uomini in età da lavoro e qui rimanevano i bambini, gli anziani e le donne. E proprio sulle spalle di quest’ultime gravava tutta la vita della comunità. Rosazza, Paese centrale della Valle, onora con un monumento posto nel parco comunale la donna valligiana con il caratteristico attrezzo in doghe munito di spallacci in catena metallica che era usato per il trasporto dell’acqua. Altro lavoro molto pesante in capo alle donne era quello di selezionare le sabbie del torrente e di trasportarle, insieme alle pietre, fino ai punti di carico. La “donna portatrice” è ricordata in un capitello della chiesa di Rosazza.
Rosazza è un gioiello di pietra che vale il viaggio. Il Paese come lo si vede oggi è stato concepito dal senatore Federico Rosazza Pistolet, Senatore del Regno, membro della Giovane Italia mazziniana e Gran Maestro Venerabile della massoneria, che, a seguito della prematura morte della moglie e figlia e decise di dedicare gli ultimi 30 anni della sua vita, nella seconda metà dell’800, per migliorare la vita dei rosazzesi. Per i progetti di rifacimento del Paese si è avvalso dei consigli del medium e massone Giuseppe Maffei che si ispirava con sedute spiritiche che lo mettevano in contatto con Isa, la figlia di Federico, e con il suo carissimo amico Agostino. Tutto il paese, quindi è costruito su indicazioni esoteriche facilmente riscontrabili passeggiando per il Paese.
Un altro nome con cui è conosciuta la Valle è La Bursch, in Walser “casa della sua gente”, ovvero “posto in cui si torna” perché, nonostante le migrazioni negli anni non fossero più di soli pochi mesi, era qui che si voleva ritornare. La Bursch è anche il nome di un progetto etico di recupero dell’omonimo borgo da parte di Barbara Varese, un’imprenditrice che ha ristrutturato la casa vacanze di famiglia e l’ha trasformata in una Country House formata da diverse piccole abitazioni in pietra collegate tra loro. La struttura mantiene intatta la pianta originale del diciassettesimo secolo e l’autenticità della sua architettura. Aperto anche agli ospiti esterni, il ristorante de La Bursch propone i sapori del territorio con una cucina piemontese tradizionale rivisitata dalla chef Erika Gotta. Sempre in zona, merita una visita il Castello di Montecavallo. La sua collina ospitava vigneti e una fortificazione militare già dal XIII secolo. Negli anni ’30 dell’800, sulle antiche rovine, furono costruiti il castello e la vecchia cantina, mentre tutta la collina fu reimpiantata con nuovi vigneti e abbellita da un giardino ricco di piante esotiche.


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