Esteri

Quell’incubo del dollaro di Milei il libertario

di Redazione -


di FABIO DRAGONI
Cosa c’è dietro la vittoria di Javier Milei? “Giocatore di calcio, componente di una rock band ed economista” così ha provato a spiegare il suo successo, il neopresidente argentino in un’intervista concessa a Tucker Carlson su X. Un libertario, più che un liberale, visto che questo secondo termine -soprattutto nella cultura anglosassone dove si scrive “liberal” senza la e- vuol dire quasi sempre l’esatto opposto.

Milei è infatti convintamente antiabortista perché animato dal principio “non aggressione e di difesa della vita, della libertà e della proprietà” dice nell’intervista con tono paludato e tutt’altro che aggressivo. Quel tono sopra le righe che ha caratterizzato la sua vincente ed eccentrica campagna elettorale. La vita comincia con il concepimento. Quel corpo che sta in quello della madre non è il corpo di quella donna. Troppa la sproporzione di forze fra un adulto ed un essere al suo stato embrionale che non si può difendere. “L’Argentina ha abbracciato il pensiero socialista da oltre un secolo” ripete per ben tre volte quel matto di Milei.

La bugia pericolosa del socialismo è che ad “ogni bisogno corrisponde un diritto”. Ma per soddisfare questo bisogno servono risorse. E mentre i bisogni sono infiniti, le risorse non lo sono. È questa la natura fallimentare del socialismo secondo MIlei. Istrionico? Certo che si, come tutta la politica argentina. È il paese di Peron ed Evita, non scordiamocelo mai. In campagna elettorale Milei, il cattolico Milei, ha tacciato Papa Francesco di comunismo visto il suo atteggiamento indulgente nei confronti di dittature come quella cubana o venezuelana. L’eredità del socialismo in Argentina è la bruttezza, chiosa il neopresidente.

Edifici sciatti, tozzi e squadrati in puro stile sovietico che si contrappongono alla tradizione classica dell’architettura argentina. “Il teatro Colon è il più bello del mondo” ricorda Milei. Il video in cui strappa da una lavagna le targhe dei vari ministeri pronunciando la parola “fuori” anzi “a fuera” è diventato ormai iconico tanto quanto la sua motosega. Milei è l’alfiere dello stato minimo che si contrappone a quello dove il ministero della cultura è “indottrinamento”. L’Argentina di Milei non entrerà a far parte dei BRICS +. IL gruppo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

Vi è però un punto critico del programma di Milei tutt’altro che rivoluzionario e che se attuato porterebbe dritto dritto il Paese alla catastrofe come già praticamente quasi accaduto prima del default dei primi anni duemila. Milei promette di adottare il dollaro come moneta nazionale. In un Paese piagato dall’iperinflazione con prezzi che aumentano di oltre il 130% su base annua sembra un sogno ma sarebbe un incubo. A meno che l’Argentina non diventi il cinquantaduesimo stato degli USA.

In tal caso tanto di cappello. Ma dubito che lo Stato di New York, la California ed il Texas siano felici di alimentare con le loro tasse il bilancio di Buenos Aires. Hanno già stati come l’Alabama di cui occuparsi. Per reperire quei dollari che servono a far girare l’economia Milei dovrebbe rubare la stampante della Federal Reserve. Ammesso e non concesso che gli riesca. Oppure indebitarsi in dollari, ma tanto tanto. Cosa già fatta appunto prima del default. Su questo punto, ammesso e non concesso che Milei voglia veramente farlo, ha toppato di brutto.


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