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Renzi-Calenda e il presepio centrista che non nascerà

di Domenico Pecile -


Lo stop al Meccanismo europeo di stabilità ha ufficialmente inaugurato la campagna elettorale per le europee della prossima primavera. Tempo di smaltire le festività e poi sarà bagarre. Con una novità assoluta: quelle elezioni saranno il terreno di confronto ma soprattutto di scontro tra i vari leader grazie anche al meccanismo proporzionale del voto che obbliga la corsa in solitaria di tutti i partiti.

Lo scenario è facilmente riassumibile. Dunque: Meloni contro Schlein e Conte ma, in misura minore, un po’ anche con Salvini. Schlein contro Meloni ma anche contro Conte per la supremazia a sinistra in una situazione assolutamente speculare per il capo dei 5S. Tajani preoccupato del possibile irrompere sulla scena moderata di Renzi che, dopo quello Saudita, adesso sogna pure il Rinascimento europeo, ammesso e non concesso che riesca a trovare un accordo con il competitor-amico-nemico Calenda. E poi Salvini alla caccia, improbabile, di voti di presunti pentiti di FdI per le politiche europee (nonostante il niet al Mes) e dell’immigrazione condotte dal premier.

Tra i leader che stanno meglio è sicuramente Giorgia Meloni. Anzi, veleggia con il vento in poppa in ciò confortata dai sondaggi elettorali. Ha superato, almeno sul piano interno, il doppio ostacolo del Patto di stabilità e del Mes. Si avvia a diventare la leader indiscussa del Gruppo dei Conservatori e dei riformisti europei, di cui è attualmente presidente, con la legittima ambizione di diventare il faro di tutto lo schieramento di centro destra dell’Ue per dettarne le strategie del post-voti.

È consapevole che il tempo gioca a suo favore e per questo non ama né le fughe in avanti di Salvini, che sogna la facile cacciata politica di Popolari e Socialisti. Ha rintuzzato pure gli scricchiolii della maggioranza dopo l’uscita intempestiva del ministro dell’Economia proprio sul voto del Mes. “Fino a quando – ha tranquillizzato lo stesso Giorgetti – la maggioranza sosterrà la mia impostazione su progetti seri, credibili e sostenibili non vedo perché lasciare. Come ho già detto, l’opposizione ha tutto il diritto di dare suggerimenti, anche graditi, poi però deciso io”.

Dopo avere oscurato, con il meeting di Atreju, l’adunata fiorentina di Salvini che aveva chiamato a raccolta la destra estrema europea, Meloni sta sicuramente anche meglio della sua alter ego. La segretaria dem non riesce infatti a traghettare il partito oltre la soglia del 20%. E deve ancora pacificare le varie anime del partito su due questioni fondamentali: le guerre in Ucraina e quella di Gaza e il nodo-diritti civili.

E come non bastasse adesso sente il fiato sul collo di Conte che con il voto contrario sul Mes ha ribadito non soltanto la distanza dalla Schlein, ma ha di fatto messo la freccia per sorpassare il Pd elettoralmente. Tutto questo gli consentirebbe da un lato di diventare il vero leader della sinistra italiana e dunque di dettare l’agenda e dall’altro di affossare il sogno neo-ulivista della Schlein e di dettare così l’agenda per tentare di erodere la popolarità di Giorgia Meloni. Insomma, l’opposizione va in ordine sparso all’attacco del fortino meloniano e rischia, soprattutto, di arrivare alle europee con le armi spuntate.

Chi, invece, fa fede di ottimismo è il solito Renzi in versione centrista europea. Gli corre però l’obbligo, se vuole evitare la tagliola mortale dello sbarramento, di ricucire lo strappo con Calenda – con cui ha già sperimentato un primo fallimento matrimoniale – il quale non solo non dimentica quello “Stai sereno” del febbraio 2014 pronunciato da Renzi e rivolto a Letta, ma in queste settimane ha più volte definito Renzi inaffidabile. Ma il sogno renziano deve fare i conti anche con altre due incognite: Forza Italia di quel Tajani che non è disposo a consegnare lo scettro moderato a Renzi e il disamore degli italiani per ipotesi che paiono più neo-democristiane che innovative.


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