Cosa può imparare il centrosinistra da Genova
La premessa è d’obbligo: trarre considerazioni nazionali da tornate elettorali amministrative non è sempre una grande idea. Certo, dipende anche dalla dimensione e dalla distribuzione territoriale degli enti locali coinvolti, ma (soprattutto quando si vota per i comuni) molto è in realtà influenzato dai temi locali, dalla capacità dei candidati a Sindaco di creare un rapporto con i cittadini e dalla forza delle liste che sostengono i candidati. Nell’analisi delle elezioni amministrative non possiamo non partire dal dato di cui meno si è parlato, ma sicuramente più positivo: se ci si attendeva un calo dell’affluenza, non è andata così. L’affluenza superiore al 56% è sostanzialmente stabile e questo, dopo l’allarme seguito alle elezioni regionali di fine 2024, è un segnale che fa tirare un sospiro di sollievo. In alcuni casi, invece, l’affluenza è cresciuta, anche in modo piuttosto importante. È il caso di Genova, dove l’incremento è di 8 punti percentuali, anche se si partiva da un dato di partecipazione particolarmente basso: dal 44% registrato nel 2022 si passa oggi quasi a quota 52%. Va precisato, però, che nel 2022 si votò solo per un giorno.Se, in generale, non si può nascondere che il trend di lungo periodo sia di un calo di partecipazione alle elezioni (ma non si tratta di una tendenza solo italiana), dall’altro è innegabile che questo dato vari molto sulla base dell’attrattività della singola tornata elettorale. Insomma: più gli elettori “sentono” la campagna elettorale più tendono a partecipare al voto. Passando invece ai risultati politici, l’analisi principale parte naturalmente dalle due coalizioni: la tendenza a disunirsi, che per alcuni è propensione più diffusa a sinistra, si è palesata, a Taranto, anche nel centrodestra, in cui i due candidati afferenti a quell’area hanno raccolto complessivamente il 45% dei voti. Occasione per il centrosinistra, che però non ne ha potuto approfittare fino in fondo in quanto anch’esso diviso tra Bitetti (candidato di PD, AVS e liste civiche) e Angolano (candidata del M5S). Insomma: tutti divisi, nessun vincitore. Eppure, a sinistra si può vincere, a patto di essere uniti. È questa la lezione che arriva da Ravenna ma soprattutto da Genova. Se, infatti, in Emilia-Romagna la vittoria del centrosinistra era piuttosto prevedibile, in Liguria il Partito Democratico veniva da una sconfitta alle regionali arrivata con un margine piuttosto ristretto. Qui, l’uovo di Colombo è stato duplice: comporre per intero il campo largo e stringerlo attorno a una candidatura, quella di Silvia Salis, vissuta come credibile, nuova (e quindi capace anche di destare una certa curiosità) e accettabile da tutte le componenti della sua larga coalizione: dal Partito Democratico a Matteo Renzi, fino al Movimento 5 Stelle, i cui elettori di solito fanno fatica a sostenere candidati di evidente espressione democratica e che quindi sembrano aver accettato di buon grado la candidatura di un profilo più “fuori dal giro storico”. Se è vero, infatti, che anche alle regionali il centrosinistra aveva raccolto la maggioranza dei voti nel capoluogo ligure, e anche vero che la competizione comunale è piuttosto diversa da quella regionale e che nelle città assume un peso lievemente maggiore la figura della candidata o del candidato. Anche la scelta di Salis, quindi, ha avuto un peso nella vittoria del centrosinistra a Genova.
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