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I Popolari, la svolta green e quel voto sul destino di Ursula

di Giovanni Vasso -

MARGRETHE VESTAGER VALDIS DOMBROVSKIS URSULA VON DER LEYEN FRANS TIMMERMANS


La parola d’ordine, in Europa, è ripristinare. Ripristinare la natura, con il regolamento ad hoc che torna al vaglio del Parlamento europeo dopo il flop in commissione Ambiente. Ripristinare la grande alleanza tra Popolari e socialisti che sostiene il governo comunitario di Ursula von der Leyen. Domani, a Strasburgo, il pallino sarà nelle mani del Ppe. Che dovrà decidere come arrivare alle prossime elezioni europee. Se come pilastro della grosse koalitionen che dalla presidente della commissione prende il nome, la maggioranza Ursula, oppure se vuole porsi l’obiettivo di portare il bipolarismo a Bruxelles mettendosi alla guida di un’alleanza di centrodestra.

Frans Timmermans, vicepresidente socialista della Commissione con delega al Green Deal, tifa per la prima ipotesi. E, dalle colonne di Repubblica, ha chiesto ai Popolari europei di tornare sui loro passi. Consentendo, con un voto favorevole a Strasburgo, di ripristinare il cammino dell’alleanza Ursula, confermando fiducia a von der Leyen, e di approvare il regolamento sugli spazi da “restituire” alla natura. Timmermans si gioca la carta della destra “unfit” a governare: “A Strasburgo si decide sul ripristino degli habitat naturali, ma i popolari stanno bloccando tutto. Il loro atteggiamento è cambiato all’improvviso, dopo la vittoria dei partiti radicali in Italia e Finlandia. Il Ppe pensa che per il futuro europeo si deve alleare con la destra più radicale ma la destra non è in grado di costruire l’Europa. Anzi vuole fermarne la costruzione”. Timmermans ha aggiunto il carico e ha chiesto una mano ai colleghi popolari: “Di certo il nazionalismo non può risolvere i problemi del cambiamento climatico o della siccità. Ho bisogno di un voto positivo per andare in questa direzione, mediando e discutendo. E so bene che molti popolari sono pronti a discutere”. In ballo non c’è solo la legge sul ripristino della natura, ma una fetta corposa del Green Deal. Timmermans ritiene che un “no” al regolamento sia un “no” a von der Leyen che “per essere votata in Parlamento nel 2019, la Presidente ha accolto questa linea, soprattutto sulla biodiversità”. “Lei ci crede davvero, non è soltanto una logica politica – ha concluso -. Sarebbe una sconfitta per tutta la Commissione, anche per lei. Questo provvedimento fa parte di quel che vogliamo lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti”.

Ma per il Ppe la questione non è così semplice. La sua base elettorale, in tutta Europa, è critica con le scelte green della Commissione. E il fatto che avanzino movimenti “radicali” per dirla con Timmermans, è un segnale che non può essere sottovalutato. Il vicepresidente della Commissione lo sa. Se non altro perché, da uomo politico olandese, sta assistendo alla repentina ascesa nei sondaggi del BBB, il Movimento civico contadino, che, opponendosi con forza alle normative green, ha conquistato a marzo una quindicina di parlamentari inguaiando i “moderati” guidati dal premier, oggi dimissionario, Mark Rutte.


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