Editoriale

IL PONTE E LA MURAGLIA

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


La prima guerra globale è servita. Dopo oltre un anno di conflitto sul territorio ucraino, finalmente la divisione del mondo e i veri obiettivi sono sul tavolo. I grandi della Terra riuniti in Giappone con Zelensky rendono pubblica la strategia che ormai da almeno due mesi era chiara. La guerra va vinta. Solo dopo si potrà discutere dei nuovi assetti del pianeta. La via della pace, quella che nel febbraio dello scorso anno doveva passare attraverso la resistenza armata contro l’invasore russo per consentire alla grande mediazione internazionale di aprire un tavolo con Mosca a cui Kiev si sarebbe seduta con forza, è stata sostituita dal più classico dei progetti: la vittoria sul campo e il ritiro dei russi, ottenuto attraverso una grande controffensiva che sarà finanziata come già è stato in questi mesi dalla Nato e che potrebbe comprendere l’utilizzo di tecnologia e nuclei speciali di eserciti occidentali, che sosterranno formalmente a distanza il piano che l’Ucraina, insieme agli alleati, sta per mettere in azione. L’Europa assiste e partecipa, divisa al suo interno senza che questo traspaia troppo a livello ufficiale, di fatto ormai guidata dal Regno Unito che ha assunto il comando strategico dell’Alleanza Atlantica per rendere operativa la linea di Washington, che guarda al centro Europa per mandare segnali soprattutto nel Pacifico, dove la crisi di Taiwan e la trattativa che un anno fa sembrava avanzata con la Cina sono oggi il vero punto cruciale su cui Biden si gioca rielezione e stabilità del Paese. Non è una guerra mondiale perché il mondo di fatto non è il campo di battaglia, si tratta piuttosto di un conflitto globale le cui ripercussioni si scagliano già da mesi oltre che sul popolo aggredito anche sui popoli europei che stanno sostenendo Kiev dal primo giorno. È molto difficile immaginare che la strada intrapresa dai grandi della Terra e confermata ieri anche simbolicamente dall’appoggio a Zelensky, reduce dal suo tour europeo della scorsa settimana, possa ormai cambiare. E alla luce di questo scenario sembra anche più chiara la netta rinuncia al dialogo e il no perfino troppo rumoroso che il presidente ucraino ha opposto a Papa Francesco, che si era offerto di perseguire una linea di mediazione. Il problema è che messa così sembrerebbe solo un gioco di forze in campo, se non fosse che la Cina ha scelto anche simbolicamente di promuovere un summit in contemporanea al G7 di segno opposto. Mostrando che quella ferita territoriale lungo la linea di confine del Donbass ha assunto una dimensione planetaria e riguarda la costruzione di un sistema economico, finanziario e sociale alternativo a quello monopolista che negli ultimi 30 anni ha guidato da Washington e dalle grandi capitali europee lo sviluppo dell’Occidente dopo la caduta del Muro di Berlino. L’Europa farà molta fatica a trovare una linea comune sostanziale proprio perché negli ultimi anni aveva costruito ad intensità diversa ponti verso Pechino che oggi si vedono improvvisamente sbarrati dalla nuova Muraglia culturale che questa guerra contribuisce a segnare e a edificare ogni giorno che passa. Se chi ha sempre sostenuto che l’intervento armato non avrebbe portato a conseguenze di una guerra più ampia oggi ha accettato il rischio invece che il conflitto sfoci addirittura in una dimensione nucleare, trova giustificazione nel fatto che alla luce di quanto sta avvenendo in queste ore tra Giappone, Cina e Stati Uniti era evidentemente ovvio immaginare che la via della trattativa di pace fosse un diversivo per accompagnare l’Europa dentro la guerra, lasciandola apparire non solo come l’invasione di un Paese verso un altro, cosa avvenuta e che tutti hanno condannato, ma come l’unica strada possibile che si sarebbe presentata agli occhi del mondo non appena il vero duello sotteso alla guerra, quello tra Pechino e Washington, fosse emerso in tutta la sua chiarezza come sta avvenendo proprio ora. Alla luce di questo è evidente che sventolare la bandiera della pace resta un gesto nobile ma superfluo. Così come è evidente che stiamo entrando in una fase nuova dove anche i termini del ripudio bellico che tanto abbiamo sbandierato nella nostra Costituzione assumono la dimensione di un desiderio lontano, che nelle scartoffie burocratiche troverà certamente dei sinonimi per dirci che tutto va bene, ma che nei fatti è già stato da tempo violato.


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