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Sinner numero 3 del mondo

di Redazione -


di Raphael d’Abdon

L’estate scorsa, dopo la vittoria di Jannik Sinner su Alex de Minaur nella finale di Toronto, avevo scritto, senza timore di poter essere smentito, che era stato il Master 1000 più scadente della stagione. Dopo sei mesi, nel 500 di Rotterdam conclusosi ieri, ci siamo sciroppati lo stesso epilogo, che ha prodotto lo stesso risultato: affermazione dell’italiano in due set insipidi, senza acuti. Oggi sono entrambi giocatori più maturi e completi, ma ciò non toglie che ci hanno regalato un match tanto deludente quanto quello giocato in Canada. Con i punti conquistati hanno ambedue raggiunto il proprio best ranking: l’australiano si piazza al n. 9, mentre l’altoatesino sale al n. 3, anche grazie ai punti persi dal campione del 2023 Medvedev, assente per infortunio.

I tifosi del prescelto sono legittimamente al settimo cielo: il Gucci Kid continua a macinare risultati e scalare posizioni, in un’ascesa che per ora sembra inarrestabile. Chi invece se ne infischia di bandiere e campanili e segue il tennis nella speranza di assistere a sfide elettrizzanti, se la sta vedendo brutta. I tennisti estrosi continuano a cascare uno per uno come birilli, non ultimo Alcaraz che fino a qualche mese fa (vittoria con Djokovic a Wimbledon) sembrava un alieno. La trasferta a Buenos Aires, pianificata per difendere i punti conquistati l’anno scorso ma soprattutto per ricaricare le pile e riacquistare morale, si è chiusa con l’ennesima catastrofe: il torello è stato travolto in semifinale dallo spilungone Nicholas Jarry, a sua volta ridicolizzato in finale dal n. 87 del mondo Diaz Acosta. Una crisi che sembra inguaribile e che preoccupa chi, come il sottoscritto, considera Carlito uno dei pochissimi tennisti fantasiosi in circolazione.

A Delray Beach, l’altro 250 in calendario, semifinali a stelle a strisce tra Paul, Tiafoe, Giron e Fritz, giocatori dallo stile speculare e narcotico. La finale, poco attesa, tra Fritz e Paul è stata posticipata ad oggi causa pioggia.

Altra notizia che aggiunge pathos alla tragedia che si sta dispiegando davanti ai nostri occhi è lo scivolamento di Tsitsipas al n.11 del ranking: per la prima volta nella storia del tennis pro non c’è neanche un giocatore col rovescio a una mano tra i primi 10 del mondo. Che il greco sia andato in aceto non frega a nessuno, tantomeno a lui che da mesi ha messo il tennis in disparte ed è in altre faccende affacendato; quello che intristisce è assistere alla scomparsa apparentemente inesorabile di un tennis fatto di velocità e potenza, ma anche di tocco e creatività, e alla simultanea avanzata di cyborg armati di bazooka e mitragliette semiautomatiche.

Una situazione avvilente che attanaglia il tennis odierno in una morsa sempre più soffocante e che toglie il sonno a chi si nutre di bel gioco, varietà, dramma, tensione, grandi scontri. Per questo ci sentiamo come Bushwick Bill il quale, nel geniale e malinconico pezzo rap “Six feet deep”, si lamenta che non riesce a dormire perchè i ragazzi del suo quartiere continuano a finire due metri sotto terra. Ma, come dice il suo collega Scarface in un’altra strofa, “ain’t much that we can do/except pour brew throughout the crew”. Non ci resta che accettare il momentaneo sconforto e sperare in tempi migliori.


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