Cultura & Spettacolo

“Il Gattopardo” al cospetto de “I Leoni di Sicilia”

di Riccardo Manfredelli -


Mi verrà facilissimo fare un parallelismo tra il Gattopardo e I Leoni di Sicilia. Entrambe le serie sono tratte da romanzi, scritti rispettivamente da Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Stefania Auci, e raccontano un periodo di grandi rivolgimenti per la storia del nostro Paese; lo fanno, tuttavia, da due angolazioni diverse: quello de Il Gattopardo è di una famiglia nobile che tenta di conservare prestigi e lignaggio sotto la spada di Damocle dei garibaldini.

I Leoni di Sicilia, in particolare l’erede Vincenzo Florio, sono invece il simbolo più compiuto della borghesia che prende piede, opponendo alle leggi della discendenza e del sangue, quella del lavoro e degli affari, in una parola, del capitale.
Chiave di volta di entrambe le narrazioni e ri-mediazioni, è un matrimonio. Ne Il Gattopardo, il Principe Fabrizio Salina predispone l’unione tra il nipote Tancredi e l’enigmatica Angelica Sedara, che nasce su una bruciante passione poi adombrata dalla titanica ambizione e dai reciproci tradimenti. Vincenzo Florio, di contro, sa che sposare una nobildonna gli darebbe la spinta definitiva per arrivare in cima alla scala sociale, ma ancora una volta si oppone lasciando l’ultima parola all’amore per una figlia della nuova società milanese, Giulia Portalupi.

Ma i parallelismi finiscono qui. Il Gattopardo, sei puntate disponibili on-demand su Netflix dallo scorso 5 marzo 2025, è un prodotto meglio riuscito de I Leoni di Sicilia (ancora nel catalogo Disney Plus dopo un passaggio su Raiuno lo scorso anno) per una molteplicità di ragioni.
Le vibranti scene di massa, oltre a sottolineare l’ineguagliabile sforzo produttivo, danno alla serie una maggiore profondità: la folla che mette a ferro e fuoco le città, quella inerme di fronte alla fucilazione dei ribelli, quella che invece poche settimane dopo accoglie Garibaldi come un salvatore, è una protagonista a sé stante del racconto. Anche le performance degli attori nella loro totalità ci sono sembrate più a fuoco.

E se nel caso dei Leoni ricordo benissimo di aver pensato che la sola Donatella Finocchiaro era riuscita a non “tradire” Giuseppina Florio nel passaggio dalla pagina scritta allo schermo, per il Gattopardo mi lascia qualche perplessità l’altalenante aderenza emotiva di Deva Cassel al personaggio di Angelica Sedara; tuttavia, la ragazza ha un portamento, un’allure e dei primi piani che giustificano il suo essere figlia di cotanti genitori. La domanda che qui mi pongo a futura memoria è: basterà il blasone a rendere credibile una carriera nello spettacolo?
Corale come un ballo di corte, altro momento di “massa” in cui la nobiltà fa grande sfoggio di sé stessa, il punto di vista attraverso cui il racconto de Il Gattopardo si dipana: da una iniziale onniscienza, si passa ad un racconto in soggettiva, prima attraverso Angelica (il secondo episodio è anche l’occasione per un volo d’uccello sulla sua backstory) e poi attraverso Concetta: la ricerca del suo posto nel mondo, i tentativi di affrancarsi dall’eredità paterna, il dolore che la rende adulta. In lei trovano convergenza presente e futuro della casata (in questo senso l’episodio finale è un lascito), come la sua interprete Benedetta Porcaroli, un talento in piena fioritura, è ormai una solida certezza del nostro cinema.


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