Editoriale

La faida di cittadinanza

di Tommaso Cerno -


di TOMMASO CERNO

Chi la pensa come il governo è felice, perché riteneva il reddito di cittadinanza applicato così iniquo, perché riteneva favorisse le truffe e disincentivasse il lavoro in alcune fasce della popolazione. Chi invece ha votato contro grida allo scandalo e scende in piazza. Si chiama democrazia. E lascia, mi sia permesso, il tempo che trova. Perché nel Paese dove il reddito ha cittadinanza con regole nuove, e ad avere cittadinanza con regole vecchie è lo scontro politico, sembra quasi che il futuro dell’Italia, l’aiuto a chi ha di meno, gli incentivi al lavoro, le politiche per la nuova occupazione passino attraverso il titolo di una legge. Ma non stanno così le cose.

Non è il reddito di cittadinanza in quanto tale, come non è la sua abolizione la ragione per cui questo Paese dimostrerà di funzionare meglio o peggio di prima. E non è nemmeno la ragione per cui un certo numero di persone staranno meglio o peggio di prima. Quello che dobbiamo ritrovare è il senso profondo delle politiche, che hanno bisogno certo di un titolo per rendersi comprensibile agli elettori, ma soprattutto come i temi alla scuola di uno sviluppo. E lo sviluppo deve appena cominciare. Perché il governo ha giocato tutto su due parole.

La prima è eliminare, cioè cancellare il reddito di cittadinanza che in campagna elettorale e nei primi mesi di governo Meloni è stato tratteggiato come una misura giusta per alcuni ingiusta per altri. Una misura che faceva di ogni erba un fascio, che aveva generato delle situazioni in cui giovani italiani che potrebbero lavorare finivano per diventare dei proto pensionati. Dall’altra parte ripetono invece che nel momento del bisogno avere un reddito di cittadinanza è l’unica strada per poter garantire alle famiglie di arrivare a fine mese. Ma la seconda parola su cui il governo ha giocato tutto è occupabilità. Un concetto un po’ platonico per rimanere scritto in una legge, deve diventare occupazione per essere qualcosa di concreto e comprensibile.

Quindi la questione non è chi litigherà di più, come in una faida di cittadinanza, e chi si difenderà meglio tra opposizione e maggioranza, che finiscono per fare sempre il solito lavoro. Ma è se il governo dopo avere rispettato e annunciato con un sms quello che aveva promesso in campagna elettorale di fare, cioè eliminare il reddito di cittadinanza per alcune categorie di italiani, saprà fare anche la seconda cosa, quella che nel progetto dei 5 Stelle era stata scritta e denunciata ma che poi non è stata fatta in questi ultimi anni. E cioè mettere in moto un sistema migliore che riesca a dare la sensazione a chi cerca un lavoro di poterlo trovare più facilmente, trasformare quindi almeno una parte di quella occupabilità platonica in una occupazione vera e propria.

Perché se la seconda parte del progetto fallirà, allora quella protesta iniziata in piazza e che mette insieme la disperazione legittima di alcuni alla strumentalizzazione politica di altri, come sono tutte le proteste, diventerà più grande perché comincerà ad accogliere fra i suoi proseliti anche persone che in questo momento hanno sospeso il giudizio e cercano di comprendere se il governo si è occupato di un titolo elettorale, o di un progetto per il Paese, che passa dunque attraverso la seconda fase che deve ancora cominciare e che è ben più importante della prima.


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