Cronaca

KARIBU E L’OMBRA DEI CASAMONICA

di Redazione -

ABOUBAKAR SOUMAHORO


di Miriam Nido
E spuntano pure i Casamonica nel caso Soumahoro. A gettare ombre su un presunto legale tra le coop di Maria Therese Mukamitsindo, suocera del deputato con gli stivali, e la famiglia criminale di origini rom operante nella Capitale, c’è un nuovo particolare rivelato a Repubblica da Elena Fattori, l’ex senatrice di Sinistra Italiana che andò a visitare le strutture d’accoglienza gestite dalle coop dell’imprenditrice ruandese e rimase scioccata per le condizioni di vita dei migranti. Fattori, durante la sua visita al Cas “Rehema” di Aprilia, vide stipati in un garage alcuni mobili molto vistosi, dallo stile inconfondibile. E quando chiese informazioni, la responsabile del centro gestito da Karibu le rispose che quell’arredamento apparteneva ai Casamonica. L’allora senatrice, allarmata da quel particolare alquanto inquietante, l’11 marzo 2019 stilò una relazione che presentò all’allora sottosegretario agli Interni del governo gialloverde, Luigi Gaetti. Inoltre, per indicare che probabilmente la famiglia Soumahoro era a conoscenza della presenza e della proprietà di quei mobili, Fattori precisò che nei giorni successivi alla sua visita, sempre secondo quanto riferito dalla segretaria del Cas, si recarono al garage Liliane Murekatete, moglie di Aboubakar Soumahoro, e l’avvocato “per controllare se il mobilio fosse tenuto in sicurezza”, e che “bisognava stare attenti perché quei mobili appartenevano a una famiglia importante”. Eppure nessuno indagò. Anzi della relazione, che Gaetti ricorda, non c’è più alcuna traccia, perché sarebbe andata persa. E ora sugli affari di Mukamitsindo si apre anche questo filone, sul quale gli investigatori vogliono fare chiarezza. Perché il nome dei Casamonica è pesante e necessita accertamenti per escludere che la famiglia, dichiarata dalla Corte d’Appello di Roma un clan mafioso, possa aver avuto interessi economici anche nella gestione dei migranti e, dunque, collegamenti con le coop di Maria Therese. Coop che si sarebbero avvalse di società satellite, riconducibili ai vertici di Karibu e Consorzio Aid, per emettere false fatturazioni e creare fondi neri da inviare all’estero o da usare per le proprie spese. La Guardia di Finanza sta vagliando le posizioni degli amministratori delle società e adesso effettuerà verifiche per valutare se siano intestati a prestanome collegati ai Casamonica. Gli inquirenti vogliono capire le circostanze relative a quel mobilio, che potrebbe essere stato stipato nel garage dietro “richiesta” di un esponente di spicco della famiglia criminale, presumibilmente per sottrarre i pregiati pezzi di arredamento alle misure patrimoniali antimafia. All’epoca il clan era sotto scacco della Magistratura e lo sapeva, grazie alla soffiata di un agente infedele, che li avrebbe avvisati dell’imminente blitz e dei sequestri cautelari dei beni. Le indagini sono tese, tra l’altro, a capire i motivi che avrebbero portato i vertici della coop ad accettare di custodire quei mobili. Per l’avvocato del clan, Bruno Giosuè Naso, la faccenda non sarebbe collegata ad interessi dei suoi assistiti sui richiedenti asilo. “Io non ne so nulla di questi mobili, ma i Casamonica non hanno mai avuto a che fare con la gestione dei migranti. In nessuno dei processi in cui sono coinvolti, e sono tanti, non è mai emerso nulla. Se avessero incrociato anche un solo migrante, con tutto l’impegno che c’ha messo il pm Giovanni Musarò in questo processo, l’accusa sarebbe già stata a suo tempo formulata”, ha detto Naso. L’ipotesi più accreditata è quella dell’usura. Non è escluso che, in un momento di difficoltà, l’imprenditrice possa aver chiesto un prestito ai Casamonica. Solo così quei mobili potrebbero essere finiti nel garage della struttura gestita da Karibu. Il modus operandi del clan, infatti, prevede che quando una preda finisce nella loro rete diventa una sorta di “schiavo” che, dietro minacce e intimidazioni quotidiane per la restituzione del prestito maggiorato degli interessi fino al 200 per cento, pretende che il debitore resti al loro servizio per qualsiasi richiesta. Ci sono stati imprenditori costretti a trasportare droga, persone che hanno dovuto cedere la casa. E di fronte all’imminente sequestro dei beni, gli investigatori non escludono che un camion di mobili preziosi sia arrivato con la forza al Cas. Intanto ieri ci sono stati gli interrogatori davanti al gip di Latina, per il filone che vede coinvolta anche Liliane per false fatturazioni. La compagna di Soumahoro ha risposto e il suo avvocato, Lorenzo Borrè, ha consegnato le carte per chiarire la posizione della sua cliente. “Abbiamo presentato della documentazione che riteniamo adatta a riqualificare le contestazioni mosse a Liliane Murekatete: confidiamo già da ora che si escluderanno le responsabilità. Non conosco il compendio probatorio, e fermo restando che fin d’ora escludo responsabilità, chiediamo il tempo di poterlo dimostrare. Io comunque, pur non potendo anticipare nulla, ho già una idea molto chiara”, ha detto Borrè. Si è invece avvalsa della facoltà di non rispondere Maria Therese, accusata anche di truffa aggravata, frode fiscale e malversazione, oltre a essere implicata nelle denunce dei dipendenti non pagati e dei migranti maltrattati. Scena muta con il gip pure da Michel Rukundo, il cognato di Soumahoro responsabile del Consorzio Aid.

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